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Chi è Gianfranco Fini,
padre politico di Giorgia Meloni,
perché è stato fatto fuori e perché sta tornando

  • di Lorenzo Longhi Lorenzo Longhi

29 ottobre 2022

Chi è Gianfranco Fini, padre politico di Giorgia Meloni, perché è stato fatto fuori e perché sta tornando
70 anni lo scorso gennaio, una carriera da uomo di partito: segretario del Fronte della gioventù, delfino di Giorgio Almirante di cui prese il posto dieci anni più tardi come segretario del Movimento Sociale italiano e di Alleanza Nazionale. Poi la svolta di Fiuggi, l’endorsement di Berlusconi, il Popolo delle Libertà con la Lega Nord e la rottura: quel “che fai, mi cacci?” rimasto della storia, la casa di Montecarlo (con processo annesso), la mancata spallata all’ex Cavaliere e l’esilio. Ecco chi è il padre nobile della destra che torna in Tv (e forse in politica) per aiutare la sua “figlioccia” Giorgia Meloni

di Lorenzo Longhi Lorenzo Longhi

“Che fai, mi riprendi?”. Allampanato, ingrigito, più rugoso, dopo una decina d’anni di oblio nell’ombra di una politica dalla quale è rimasto in disparte, senza incarichi e senza partito ma con la spada di Damocle di un processo che lo vede fra gli imputati e vive di lungaggini, Gianfranco Fini domenica 30 ottobre sarà ospite di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più. In sé potrebbe non essere una notizia, se non fosse che non può sfuggire la tempistica: dopo due lustri lontano dai riflettori, la sua nuova epifania in Rai, ai tempi del governo Meloni, lascia intuire un rapporto significativo con il nuovo capo dell’esecutivo e appare quasi il ritorno sulle scene di un padre nobile. Ultimo indirizzo politico conosciuto? Lo scontro del 2010 con Silvio Berlusconi, quello del “che fai, mi cacci?”, nel quale tutto si giocò e tutto perse, col rivale che lo mise all’angolo, quel rivale che oggi rischia di chiudere da valletto.

Bolognese di nascita, 70 anni compiuti lo scorso 3 gennaio, Fini è stato colui che - citiamo da Treccani - “ha avviato negli anni Novanta un rinnovamento della destra italiana per dare vita a una formazione non più identificabile con la tradizione fascista ma ispirata ai valori della destra democratica di stampo europeo”: è la sintesi, necessariamente asettica, di ciò che la sua figura ha rappresentato per quel campo politico nel periodo della prima e decisiva legittimazione elettorale che sdoganò la destra di governo. Di fatto si parla della svolta di Fiuggi che, nel gennaio 1995, portò allo scioglimento del Movimento Sociale Italiano e alla sua confluenza nella neonata Alleanza Nazionale, vera e propria creatura di Fini il quale aveva già vinto le elezioni del 1994 alleandosi con Forza Italia e la Lega Nord. Una decisione non scontata, per uno come lui che era stato dal 1977 segretario del Fronte della gioventù, organizzazione giovanile del MSI, nonché delfino di Giorgio Almirante al quale sarebbe succeduto quale capo del partito dieci anni più tardi; una decisione che gli provocò, abbastanza prevedibilmente, l’accusa di tradimento da parte della destra dura e pura.

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Gianfranco Fini e Giorgio Almirante

Sino al 1993 Fini era stato poco più che un uomo di partito. Poi un giorno, il 23 novembre di quell’anno, candidato a sindaco di Roma contro Francesco Rutelli, ricevette uno strano endorsement. Silvio Berlusconi era nella capitale per inaugurare un supermercato e, davanti alle telecamere, disse che se fosse stato di Roma avrebbe votato proprio Fini. Non era ancora sceso ufficialmente in campo, ma quella corrispondenza di elettorali sensi avrebbe segnato i vent’anni successivi, con Fini ad allearsi con lui, a portare la destra al governo (nel Berlusconi I erano presenti i ministri di AN-MSI Adriana Poli Bortone, Publio Fiori, Giuseppe Tatarella, Altero Matteoli e Domenico Fisichella) e lui stesso a diventare vicepresidente del Consiglio (2001-2006), ministro degli Esteri (2004-2006) e presidente della Camera. Fu peraltro proprio Fini a indicare una giovane Giorgia Meloni quale vicepresidente del ramo basso del Parlamento nella XV Legislatura (presidente era Fausto Bertinotti). Erano i suoi anni di gloria, di potere, di visibilità. Sarebbero terminati di lì a poco.

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Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e Gianfranco Fini durante la svolta di Fiuggi

Quanto accadde il 22 aprile 2010 nel corso della direzione nazionale del Popolo della Libertà presso l’auditorium della Conciliazione a Roma rappresentò di fatto la fine politica dell’allora presidente della Camera. Dal punto di vista comunicativo, la plasticità dello showdown fu epocale: Berlusconi sul podio, in alto, fermo e aggressivo, dominatore della scena; Fini davanti a lui, in basso, seduto accanto al berlusconiano Paolo Bonaiuti nella prima fila della platea, parlante ma muto (non essendo microfonato), dall’ira percepibile solo grazie al labiale e alla comunicazione non verbale, con quella mano destra rimproverante e l’indice puntato. Lamentava, Berlusconi, le critiche a mezzo tv (parlò del “partito esposto al pubblico ludibrio”) da parte dei finiani Bocchino, Urso e Raisi, nonché le sottolineature polemiche dello stesso Fini, investito qual era di un ruolo istituzionale: “Non hai partecipato nemmeno alla nostra campagna elettorale per essere super partes, non sei venuto nemmeno in piazza San Giovanni. E allora scusami, ma io intendo che un presidente della Camera non debba fare dichiarazioni politiche e fare l’attività dell’uomo politico. Vuoi avere la possibilità di fare queste dichiarazioni? Ti accogliamo a braccia aperte: le fai da uomo politico nel partito e non da presidente della Camera”. Boato, ovazione delle truppe cammellate azzurre, telecamera su Fini, colpito e affondato: “Altrimenti che fai, mi cacci?”.

Beh, sì. Poche settimane più tardi, il 29 luglio, l’ufficio di presidenza del PDL lo sfiduciò a maggioranza, espellendolo dal partito definendo i suoi comportamenti “incompatibili con i valori del Pdl”. Fini radunò allora i suoi fedelissimi e creò un nuovo gruppo parlamentare composto da 34 deputati e 10 senatori, chiamato Futuro e Libertà, che sarebbe poi diventato partito a febbraio 2011. Nel frattempo il gruppo finiano avrebbe fatto in tempo a presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Berlusconi IV (era dicembre 2010, tra i ministri c’era anche Giorgia Meloni, con le deleghe alle politiche giovanili), fallendo però la spallata perché il governo si salvò alla Camera con 314 sì e 311 no. Un anno dopo la fondazione del nuovo gruppo, la rappresentanza di Futuro e Libertà si sarebbe ridotta a 25 deputati e 6 senatori.

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Gianfranco Fini e Giorgia Meloni

Il Fini politico è sostanzialmente finito lì. Concluso il mandato quale presidente della Camera nel marzo 2013, non fu rieletto dopo essersi presentato con Futuro e Libertà in coalizione con Scelta Civica (Monti) e Udc. Il resto sono la vicenda giudiziaria che lo vede imputato per riciclaggio (relativa alla famigerata casa di Montecarlo, lasciata in eredità da Anna Maria Colleoni ad AN, venduta a una società che faceva capo al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani) e un libro intitolato Il ventennio. Io, Berlusconi e la destra tradita, titolo singolare per uno che venne tacciato di tradimento, ma tutto cambia. Oggi, ad esempio, Berlusconi non ha un briciolo della lucidità e della verve di allora, AN non esiste più, Storace si mostra volentieri abbracciato a Fini, Fratelli d’Italia ha svolto persino un congresso a Fiuggi, la sua leader guida il governo e il presidente del Senato è Ignazio La Russa. Fini ha il via libera, liberissima.

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