L’intervista di Giuliano Amato a Repubblica dello scorso sabato sul caso Ustica e le accuse alla Francia ha suscitato un vespaio di polemiche. E riaperto l’interesse del Paese sul caso della scomparsa del DC-9 dell’Itavia precipitato al di sopra dell’isola siciliana sulla rotta Bologna-Palermo il 27 giugno 1980. Amato ha accusato Parigi di sapere la verità e non rivelarla, e attorno alle sue parole si è riaperta una ferita profonda che getta una luce sinistra sulla nostra politica, sul contesto globale di quegli anni di Guerra Fredda e su un passato di stragi e violenza che ha insanguinato la Prima Repubblica. Nelle parole di Amato su Ustica, insomma, non si parla solo di Ustica. Ma per capirlo è bene partire dalle premesse: dai fatti, dunque, di quel tragico giorno di inizio estate.
Ustica, 43 anni di misteri
Il caso del DC-9 dell’Itavia precipitato a Ustica con 81 persone a bordo, tutte decedute nella tragedia, si trovò presto in una serie di questioni politiche, giudiziarie e, soprattutto, militari e geopolitiche. Riferibili ai tre filoni principali legati al possibile movente del fatto: un primo filone è legato all’idea che il DC-9 si inabissò per un cedimento strutturale; altri hanno parlato dell’ipotesi di una bomba a bordo; la terza ipotesi, la più articolata, vuole che l’aereo si fosse trovato in mezzo a una battaglia aerea coinvolgente velivoli francesi e, probabilmente, americani da un lato e aerei dell’aviazione libica di Muammar Gheddafi dall’altra. Finendo dunque colpito tragicamente da un missile.
Omissioni, depistaggi e prove incomplete hanno caratterizzato tutti i processi legati al caso di Ustica negli ultimi quarantatré anni. Un’inchiesta guidata dai professorii Donato Firrao (Politecnico di Torino), Sergio Reale (Università di Firenze) e Roberto Roberti (Università di Brescia) a fine Anni Novanta sembrò sfatare l’idea della tesi della bomba o del missile; tutti i processi condotti contro ufficiali dell’Aeronautica Militare per presunti tentativi di inquinare le prove a favore dell’una o dell’altra tesi sono finiti con le assoluzioni dei diretti interessati. Il generale dell’Aeronautica Leonardo Tricarico, inoltre, è il più noto volto pubblico contrario alla tesi del missile. Quest’ultima, però, nel 2013 è stata accolta dalla Cassazione mettendo la parola fine alla richiesta di un’associazione di parenti delle vittime di Ustica di risarcimento contro lo Stato italiano.
Chiaramente, in questa “nebbia di guerra” i processi – come rilevato dal professor Aldo Giannuli in un recente intervento su YouTube – hanno avuto una grande attenzione sul dato tecnico, piuttosto che sul contesto circostante e le motivazioni che hanno condotto alla strage, come accade invece per gli attentati della Prima Repubblica. L’importanza però del contesto è decisiva: accogliere, o meno, la tesi del missile e della battaglia aerea significa avere una percezione diversa delle dinamiche globali che vedevano coinvolta l’Italia come oggetto, più che soggetto, in quella fase storica. Ed è qui che si inseriscono le parole di Amato.
Cosa ha detto Amato su Ustica
Amato, di fatto, su Ustica non dice nulla di nuovo relativamente al caso: l’ex presidente del Consiglio avvalorava, nella sua intervista, la versione dell’allora premier e futuro capo dello Stato Francesco Cossiga. Il quale nel 2007 ripropose, pochi anni prima della sua scomparsa, l’idea della “mano” francese dietro l’abbattimento del DC-9. Amato ha aggiunto che – a suo avviso – l’obiettivo del raid fosse lo stesso Gheddafi e due elementi di novità: l’allora politico socialista dice che Bettino Craxi, segretario del suo partito e futuro premier, avvertì Gheddafi del tranello francese e, al contempo, che arrivato a Palazzo Chigi gli avesse dato in mano la gestione del dossier perché non si fidava del muro di gomma dei militari.
L’idea che operatori dell’Aeronautica o addetti radar possano esser stati negligenti o evitato di comunicare gli avvistamenti di aerei da guerra, oppure che ex post ci possano essere state modifiche di tracciati e rilevazioni, non ha conferma giudiziaria. Ma è al centro del dibattito politico e storico e ha scatenato la rabbiosa reazione di Tricarico, che ha seccamente condannato Amato.
Last but not least, Amato ha detto indirettamente Emmanuel Macron, nato solo tre anni prima della strage, che a suo avviso potrebbe avere in mano la risoluzione del caso operando l’apertura degli archivi francesi in cui si troverebbe la chiave del mistero. Il governo transalpino nel 2014 ha ammesso di aver mentito, nei decenni precedenti, negando l’attività militare nel Mediterraneo quel tragico giorno. Una portaerei, la Foch o la Clemenceau, si sarebbe trovata in navigazione con a bordo dei caccia Mirage pronti all’intervento. E proprio dei Mirage sarebbero decollati dall’aeroporto corso di Salenzara, come dichiarò il generale dei Carabinieri Nicola Bozzo che si trovava vicino ad esso in vacanza, nella stessa giornata.
Il caos attorno Ustica
Com’era ovvio, le parole dell’85enne ex premier, Ministro del Tesoro e presidente della Corte Costituzionale hanno aperto il vaso di Pandora. Amato ha ricevuto la risposta del governo di Giorgia Meloni e del sottosegretario con delega ai servizi segreti Alfredo Mantovano, attento e preparato giurista: nessun documento secretato italiano sarebbe ancora da scoprire. Ma al contempo, nell’edizione del 5 settembre Repubblica ha ricordato che dal Ministero dei Trasporti sarebbero scomparsi buona parte degli archivi sul periodo che va dal 1968 al 1980, tra i più torbidi della storia d’Italia, probabilmente sottratti dal Sismi su indicazione del generale Giuseppe Santovito (1912-1984), al centro di alcuni dei più problematici depistaggi.
La versione di Amato è stata corretta da più parti: Luigi Zanda, già senatore del Pd e allora portavoce di Cossiga, e il consigliere diplomatico di Amato negli anni di Palazzo Chigi, l’ambasciatore Sergio Vento, hanno dichiarato alla testata del gruppo Gedi che fu l’intelligence italiana a avvisare Gheddafi, convinto a cancellare una visita di Stato che lo avrebbe portato in Polonia. Amato, dal canto suo, ha precisato: “ho solo rimesso sul tavolo una ipotesi già fortemente ritenuta credibile, non perché avessi nuovi elementi, ma per sollecitare chi li ha a parlare, a dire la verità”, ha dichiarato nella giornata del 4 settembre. Poi ha precisato, sbagliato a Repubblica, di chiedere risposta a un “bisogno di verità che a una certa età diventa più urgente”, in onore alla volontà di risolvere “l’insofferenza di buona parte della classe politica, Craxi incluso, davanti alla ricerca della verità, contro i tentativi di depistaggio”. Aggiungendo: “Macron potrebbe aiutare a restituire giustizia a 81 vittime innocenti”.
Chi scrive segue, da tempo, le dinamiche degli anni bui della Repubblica. Ci sarebbero libri, non articoli, da scrivere. Ma le parole di Amato e ciò che hanno suscitato creano un caos che ha anche valenza politica.
Perché si riapre la ferita di Ustica
Perché Amato ha parlato? A che mondi voleva rivolgersi? Che conseguenze avrà, oltre il caso Ustica, l’uscita di una figura a lungo tra le più importanti della Repubblica? Il grande gioco è in movimento e si possono tracciare linee di tendenza.
Vi è, sicuramente, una componente di ambizione personale di Amato. Eterna riserva della Repubblica, Amato insegue ancora il sogno Quirinale. Colpire Parigi è quanto di più facile possa esserci per acquisire credito a destra, inoltre l’uscita da statista desideroso di verità mira a porlo su un piedistallo da cui ben pochi si possono arrivare a ergere.
C’è poi, aperta e attiva, la battaglia tra lo “stato profondo” filo-francese e quello più propriamente filo-americano per il controllo della Repubblica. Dalle nomine alle partecipate ai servizi, dalle forze armate all’industria strategica, Usa e Francia confliggono per il primato nell’influenza sull’Italia. Amato, socialista a stelle e strisce, in quest’ottica aggiunge una grana a Parigi, il cui “partito” in Italia è stato gradualmente demolito da Mario Draghi e Giorgia Meloni a favore delle figure di riferimento dello Zio Sam. Inoltre, la Francia è sulla difensiva in Africa e in rotta di collisione con l’Italia su vari dossier, dalla Libia in giù.
Il terzo punto è legato alla possibilità che nei prossimi mesi il Parlamento apra una serie di nuove commissioni per indagare su fatti e misfatti del nostro passato. Emanuela Orlandi, Moby Prince, stazione di Bologna: tanti i casi con versanti oscuri su cui è stata chiesta un’inchiesta del Parlamento a cui un nuovo affaire Ustica potrebbe unirsi.
Ustica e la svolta presidenzialista? Le parole di Formica
Non un caso per Rino Formica, 96 anni, tra gli ultimi grandi vecchi della Prima Repubblica, ministro dei Trasporti ai temi della strage, che ha definito “un atto volgare verso Craxi e la storia del Psi” in un’intervista a Domani le parole di Amato. Secondo Formica, sempre attento a pesare le parole, Amato vuole con le sue mosse fornire una sponda nientemeno che alla transizione presidenzialista. Come? “Per aprire una nuova fase costituente bisogna azzerare la Repubblica, annacquare ogni differenza in una responsabilità collettiva, in misteri che coprono altri misteri. Con l'obiettivo di superare la fase repubblicana e avviare la fase della democrazia diretta, presidenziale”, in cui un’autorità sola detiene il controllo degli arcana imperii. Aprire le ferite del passato per spingere a superare il sistema politico bloccato in cui questi fatti successero, secondo Formica, è la chiave per accelerare la transizione.
Per Formica l’agenda sarebbe, addirittura, quella di ribaltare l’8 settembre, la scelta democratico-repubblicana della democrazia dei partiti. “La destra vuole una Costituzione al buio, con l'incerta sollecitazione di avverare il miraggio del capo al comando. Per fare questo serve anche un presidente di transizione, un presidente provvisorio, come fu Enrico De Nicola, di passaggio tra un regime e l'altro. C'è bisogno di un De Nicola due, potrebbe essere lo stesso Amato”, nota Formica, sottolineando che a suo avviso revisionismo storico e dubbi sul passato del Paese hanno l’obiettivo di delegittimare il sistema politico. Mostrando, in forma surrettizia, la necessità di un rinnovamento e di una concentrazione dei poteri. In Francia un Macron ha il potere di aprire archivi e dare linee guida, sembra emergere dalle parole di Amato e da ciò che hanno suscitato, mentre in Italia siamo ostaggio dei possibili depistaggi di un Santovito qualsiasi quarant’anni dopo la sua morte? Si esagera, ovviamente. Ma la retorica dell’uomo solo al comando si alimenta delle emergenze. E dunque tra le molte cose che si possono dire, anche l’intervista di Formica ha un senso. Parlare di Ustica significa parlare di molto più di Ustica, e in questo grande gioco anche la sorte delle 81 vittime di quel tragico giorno passa in secondo piano. Come molto spesso è successo nell’indagine sui grandi misteri d’Italia.