Volodymyr Zelensky cambia tutto al Ministero della Difesa e dopo aver silurato Oleksej Reznikov, suo ex fedelissimo in sella per 550 giorni nella guerra di difesa contro la Russia, promuovendo al suo posto Rustem Umerov, di etnia tatara della Crimea e direttore del Fondo del demanio statale, oltre che già deputato di Servitore del Popolo, il movimento che lo ha eletto al potere nel 2019.
Perché la nomina di Umerov è strategica. La nomina va nella direzione di mostrare come fortemente l’Ucraina è legata alla madrepatria, la penisola contesa strappata da Mosca a Kiev nel 2014. E rappresenta un tentativo di Zelensky di rimettere ordine in un dicastero che era piombato nel caos per una serie di scandali: Reznikov, “uomo delle armi” di Kiev nei mesi scorsi che aveva negoziato con i colleghi occidentali forniture e sostegno, era finito nella bufera per non aver previsto a gennaio e febbraio lo scandalo degli appalti truccati per le forniture di pasti all’esercito. E ad agosto la sua pietra tombale politica è stato il mancato controllo dei lotti di fornitura di giacche militari prodotte in Turchia che erano state rivendute nel Paese a un prezzo gonfiato.
Ma il terzo e più importante punto legato alla nomina di Umerov è legato alla carriera personale da animato fautore del dialogo e della diplomazia che, forse anche in virtù delle sue origini, possono mostrare una crescente tendenza di Kiev al negoziato con Mosca. Proprio perché proveniente da un’etnia minoritaria in una regione in cui Mosca ha spinto per la russificazione ed essendo stato direttamente toccato dal caos politico dell’annessione della “penisola che non c’è”, o meglio non c’è più, del Mar Nero, Umierov conosce i tempi e i modi della diplomazia. Ha fatto da regista alla Piattaforma Crimea studiata per sensibilizzare le logiche dei cittadini russi sui diritti dei tatari e sulla necessità per Kiev di mantenere il controllo sulla regione. Nel 2017 ha facilitato il rilascio nel 2017 di due prigionieri politici russi, i tartari di Crimea Ahtem Chiygoz e İlmi Ümerov, mediando proprio con le autorità di Mosca. Soprattutto, nel marzo 2022 è stato tra i primi negoziatori tra Mosca e Kiev dopo l’invasione russa e gli Stati Uniti, con dichiarazioni non confermate, hanno dichiarato che era per il neo-Ministro che erano destinate le sostanze tossiche con cui il miliardario Roman Abramovich, presente a Istanbul come “pontiere” del Cremlino, era stato intossicato.
Zelensky chiude le porte ai nazionalisti. L’uomo conosce le logiche della pace e della guerra e – soprattutto, fatto da non sottovalutare – è estraneo a ogni logica del roboante nazionalismo ucraino, tra i cui esponenti ci sono il super-consigliere di Zelensky, Mychajlo Podoljak, e il capo dell’intelligence militare, Kyrylo Budanov, “falco” della guerra a oltranza. I due hanno in passato difeso l’idea di colpire insistentemente la Crimea per riconquistarla. Zelensky di recente ha fatto capire che l’obiettivo dell’Ucraina è sfondare le linee russe fino al confine amministrativo della penisola e poi avviare trattative per smilitarizzarla, temendo il costo umano di un ingresso in quella che la Russia ritiene una terra della sua area metropolitana.
L’ora del negoziato si avvicina. Zelensky da tempo va ripetendo che la guerra non è un film e che i politici ucraini devono mediare sogni e realtà. La nomina di Umierov, in quest’ottica, può valere come uno schiaffo all’ala più nazionalista e l’accettazione di quanto, nei fatti, l’Occidente fa capire da tempo, ovvero che Kiev dovrà prima o poi venire a patti con la Russia? Del resto, a febbraio, anche un “falco” Usa dalle assolute credenziali anti-russe come l’ex direttore della Cia David Petraeus, in forma chiara, aveva sottolineato che era ovvio che il conflitto sarebbe “finito con un negoziato” e che dunque Kiev doveva definire nel migliore dei modi cosa intendesse col suo concetto di vittoria militare.
Reznikov a sua volta non era un iper-nazionalista, ma un uomo pragmatico. Zelensky avrebbe potuto dare all’estrema destra del suo partito populista la guida del dicastero-chiave per la guerra. Ha scelto una figura valida sul piano simbolico ma anche dalle credenziali politiche nette: un ministro che potrà servire con le sue conoscenze qualora, presto o tardi, venisse il tempo delle trattative. Con l’autunno dell’Est, piovoso e inclemente, che si avvicina senza sfondamenti a Est delle linee russe e Mosca che, al contempo, tra attacchi subiti sul suo territorio e faglie interne si dimostra certamente non all’altezza di conquistare una vittoria totale presto l’ora della necessità di un compromesso potrebbe scoccare nelle capitali in guerra. E perlomeno a Kiev Zelensky sta facendo di tutto per non arrivare sguarnito politicamente a un crocevia che potrebbe metterlo contro l’ala più oltranzista del suo esecutivo.