Cambio di sede per il ristorante del rampollo di Dennis Verdini. Dopo l'inaugurazione romana di PaStation nel 2015, presente anche a Londra e Firenze, il ristorante di pasta di Aldo Gucci e Tommaso Verdini si è spostato da Piazza in Campo Marzio a Via Barberini. Mentre Francesca Verdini era al Festival del cinema di Venezia in compagnia del fidanzato Matteo Salvini, noi di MOW siamo andati nella nuova sede a Roma a vedere come si sono sistemati. Ricordavamo i prodotti Dop e l’inaugurazione in pompa magna. La buona carbonara con l'uovo di Parisi e il rigatino toscano croccante, la parmigianina e gli ottimi taglieri. Anche le pinse non erano malaccio, peccato che qualche pasta non fosse particolarmente riuscita e le insalate non erano il loro forte.
‘Roma cruda’
Abbiamo così percorso una assolata Via del Tritone, rigurgitante merce scadente esposta nelle vetrine, su fino ad arrivare all'edificio de Il Messaggero, nato per essere un hotel gemello del famoso Excelsior, sempre nel quadrilatero delle ex proprietà dei Ludovisi. A sinistra ci siamo consolati un po' vedendo La Rinascente finalmente al passo con i grandi magazzini esteri. Il fossile inaugurato da D'Annunzio - fu il Poeta a dargli il nome - è stato provvidenzialmente svecchiato insieme ai vari Sergio Tacchini e Pierre Cardin, per fare spazio a luci e brand più à la page. Di nuovo a destra abbiamo doppiato il traforo, adiacente al Bal Tic Tac recentemente scoperto sotto le macerie di una ex banca e ancora chiuso per i ritardi e le inefficienze burocratiche di Roma Capitale. Giacomo Balla affrescò infatti il cabaret nel 1921, fiorente ritrovo di intellettuali futuristi, che in seguito fu sfregiato da impietosi lavori di copertura edile. Poi le mura di Via Rasella, recanti la memoria delle mitragliate che ebbero l’esito dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, fino ad arrivare al Tritone del Bernini, che stranamente non sorreggeva invano il carico della conchiglia, visto che per una volta l'acqua scendeva regolarmente. Ancora qualche passo in direzione di Via Barberini accanto all’ omonimo Hotel, al lato opposto della fontana delle Api con lo stemma del Casato, per imboccare l’ex Via Regina Elena, ora appunto Via Barberini. E li, dietro tre vetrine apparentemente buie, chiuse da una porta a vetri antipanico, abbiamo scorto PaStation. I vetri opachi e parzialmente incrinati davano l'idea di un luogo chiuso da tempo; ci siamo sbagliati più volte tentando di entrare da una delle vetrine, impasse nella quale sono inciampati anche altri avventori che poi hanno desistito, a causa di mancanza di insegne chiare. Attraverso queste vetrate si scorgono desolati tavolini non apparecchiati che traggono in inganno, dando appunto l'idea dell'abbandono. E invece un'anima viva si è palesata e ci siamo introdotti in quello che ci è parso il simulacro e pallido ricordo di ciò che era prima a pochi passi dal Parlamento. Pareti nude, poca luce, noi da soli nella sala. Fornelli accesi dietro una sorta di guardiola di vetro. Una cassa accanto ai lavandini e, nascosta, una cucina o un magazzino. La ragazza ci ha spiegato che il servizio al tavolo è stato soppresso. Ora si sceglie il piatto, lo si paga e si va ad attendere col dischetto luminoso in mano. Al vibrare del disco ci si alza e si va a ritirare il piatto, tipo mensa. E così, tristanzuoli e sul crinale di un attacco di depressione, abbiamo scelto il formato di pasta per farlo sposare con uno dei sughi del menù. Uno gnocco per un pesto genovese e uno spago per una carbonara che ricordavamo di qualità e rassicurante. Da bere acqua Pam in bottigliette di plastica singole. L'acqua in caraffa e in bottiglia di vetro è un lontano ricordo.
Il glamour perduto del passato
Sono lontani i tempi in cui capitava di sedersi da PaStation con un amico ai tavolini fuori al sole, tra Monte Citorio e il Pantheon e vedersi puntare in faccia dai cameraman le luci e le telecamere, perché i nostri commensali Matteo Salvini e Francesca Verdini succhiavano spaghetti accanto. Talvolta sedevano al desco dei figlioli anche L’ex Senatore di Forza Italia Denis Verdini – per lui una parmigianina - e qualche pezzo grosso del governo. Cullati da queste nostalgie, ci siamo alzati per ritirare la razione; posate avvolte in un tovagliolo di carta, niente pane, una formaggera. Gli gnocchi sono da battaglia, di ignota provenienza. Il pesto è al classico basilico; non si avverte la presenza di pinoli e abbiamo sperato ci fossero, così come l'aglio, del quale arriva quasi impercettibile il sentore. No fagiolini né patate. Per quanto riguarda la carbonara, niente più rigatino toscano come la proprietà targata Verdini/Gucci, gotha della Regione del mitologico Pegaso.
Spiacenti, niente dolce
Gli gnocchi li abbiamo mangiati. La carbonara presentava guanciale romano, croccante come si deve. Mantiene la cremosità e la pasta è al dente. Non è ignorante come troppe carbonare cittadine ma ben fatta, per un pranzo al volo. "L'uovo non è più di Parisi", ci dicono. Le burrate sono sempre di Andria. Ma niente burrate per noi. Piuttosto un dessert, se ci fosse. "Abbiamo panna cotta e pinsa alla nutella; abbiamo finito i cantucci e i tiramisù devono arrivare". Le saracinesche hanno rischiato di chiuderci dentro alle 16, meglio il conto - 20 euro a persona - e un corroborante caffé, grazie. I prezzi sono gli stessi, quelli dei bei tempi. Ma nulla può il potere, spesso, contro ‘sta Roma cruda', che, citando Il Muro del Canto, ‘te mena e t’accarezza’ e ‘te divora come un barracuda’.