Nella selva di bar e locali turistici che popolano ormai il centro di Roma, è difficile orientarsi per un romano che sbarchi raramente da queste parti. Le due stazioni della metro possibili non sono vicinissime, hai visto mai si dovesse ritrovare la testa di Silla, scavando il suolo capitolino per costruirne un’altra, per un lasso temporale pari a un’era geologica. Esse – Spagna e Barberini – rigurgitano comunque ogni giorno, come la bocca di Mangiafuoco, migliaia di persone dirette in centro, tranne la seconda, “guasta un giorno sì e l’altro pure”, come direbbe uno dei pochi romani veraci rimasti. Certo agli occhi di un autoctono è più evidente, da pochi chiari indizi, quali siano i gelatai ove rifornirsi di coni decenti e quali quelli da evitare, per quanto almeno il gelato a Roma è ancora buono. Una cosa è certa, vuoi perché il Bar Giolitti si trova sulle guide, vuoi perché sta lì in via Uffici del Vicario dal 1900, l'uscio è sempre ingombro di gente di ogni nazionalità che entra – a Roma vorreste pure uscire dagli usci? Ingenui – per assicurarsi il suo famoso Italian Ice Cream.
La strada, oltre che essere la sede nella quale si trova la Camera dei Deputati, è anche quella dove nacque l'As Roma, ritrovo quindi di centinaia di ultras che fanno esplodere mortaretti giallorossi ogni 22 luglio e sventolare ignoranti fieri bandieroni con enorme gaudio dei residenti e delle loro vetture. Tutto ciò sotto gli occhi indifferenti di carabinieri chiusi ermeticamente nelle loro garitte, che assistono muti – non sia mai! – a una variegata assordante tifoseria. Ma tornando allo storico bar romano, teatro di infinite colazioni a base di cappucci e cornetti e scatti digitali di americani ai coni gocciolanti, non è raro trovare, accomodati ai tavolini zoppi sui divelti sampietrini, qualche esponente del governo che si inzacchera il bavero di panna e vaniglia della famosa Coppa Olimpica.
La colazione tipo di Giolitti è la classica romana, composta generalmente da un espresso declinato in una vasta gamma di proposte come d’uopo nella Capitale – al vetro, macchiato caldo, schiumato, non schiumato, in tazza, freddo – o cappuccio, accompagnati da una apprezzabile varietà di cornetti. Il fragrante lievito a forma di mezzaluna, di probabile derivazione ottomana che da noi assume il nome appunto di cornetto e giammai “brioche” – sarvate mandrà – è presente con glassa, senza glassa, integrale, farcito alla marmellata, in compagnia di danesi, saccottini e, andando molto presto si ha l'onore di accedere al gotha delle poche ciambelle fritte zuccherate disponibili. Le ciambelle sono infatti accuratamente deliberate con il contagocce dalla Signora Giolitti, seduta da quando è nato il mondo dietro al bancone delle paste.
Accanto al vassoio dei lieviti sono schierate appunto queste ultime, rinomate. Dai mini mont blanc ai mignon alla frutta, dai bigné alle creme (zabaione con la tenera cupola di glassa rosa, cioccolato, nocciola, panna) ai mini babà al rum. Si passa poi ai cannoli siciliani grossi come sventole e alle cassate monoporzione, con abbondanza di sfogliatelle ricce piccole e grandi, fino alle tortine monodose gusto caprese, crema e pinoli, nutella, ricotta e crostata alle visciole.
A seguire la pasticceria secca con lingue di gatto, occhi di bue alla crema di famigerato pistacchio, cioccolato e altre misture degli Dèi, più una distesa di biscotti da tè meno ‘frequentati’.
Non mancano frappe e castagnole, classiche o all’alchermes, a Carnevale, per nuotarci dentro come un pesce baleno, citando Paperone e assortimento di panettoni e colombe artigianali alle feste comandate.
Qualche classica confezione di caramelle e cioccolatini dai tipici marchi âgés resiste, hai visto mai dovessi far visita a qualche zia all'ultimo. Per i nostalgici del paleolitico come noi, che abbiamo memorie di domeniche di bisnonne che ci coccolavano infanti con le gelatine di frutta, ci sono anche quelle, accanto alle caramelle Rossana sfuse. E con le gelatine ci è chiaro come Giolitti conservi quel retrogusto decadente gozzaniano che fa tanto “buone cose di pessimo gusto”, che affascina o anela uno spiraglio di rinnovamento del look.
Ma tant’è. Qui ci si va soprattutto per il gelato, e i turisti lo sanno. Quarantasette sono i gusti che questa ex latteria del secolo scorso offre, compresi i nuovi in uno slancio di modernità inusitata, come a dire “e che te credevi? Semo mejo noi o Gigi Fassi?”. Pensiamo noi con licenza poetica, alludendo all’altro antichissimo tempio del gelo ora di proprietà dei coreani ma con l’erede Andrea ancora a bordo. Tra i più famosi c’è il gusto champagne, ma non ci è sfuggito il nuovo astro di questa barbarie in cui viviamo, l’ormai sempiterno caramello salato, che sarà pure pacchiano ma è tanto bono.
Tanto spazio poi per i classici, alla frutta e le granite, certo, ma chi di gelato dice di intendersi, a Roma, ormai non regala il podio a questo di Giolitti. E nemmeno noi. Bono eh, per carità. Ma preferiamo la pasticceria.
Orde di giapponesi escono con il cono da sei euro, alto e carico, tra il sorpreso, il timoroso e il soddisfatto; americani rubicondi sostano inebetiti dinanzi a due anacronistici schermi piatti digitali nuovi di pacca, appesi dietro la testa dei gelatai, recanti l’elenco dei gusti. E c’è quasi la sensazione che in un futuro distopico questi televisori neri e tutto il resto possano fare la fine della cornice con l’effigie di un leone ruggente di “Nuovo Cinema Paradiso”, gettati in un angolo al cambio di generazione del Bar Giolitti.
Dopo aver mischiato impunemente lemon and malaga sul loro cono, ancora confusi, gli yankees sfilano fuori sotto gli occhi del solito carabiniere costretto ad assistere a questa orgia giornaliera e, in shorts e ciabatte, fotografano l’iconico mantecato urlando “it’s dropping, hurry, on the other side!”, schiamazzando come si fa quando si ha la sensazione di visitare una colonia del proprio paese.
Ai tavolini sono servite ancora le fette di torta gelato “Giolitti”, “Fragola” e “Zabaione”, che godono di antica fama, da noi parecchio incompresa.
Abbiamo schivato dunque centinaia di monopattini del Comune appoggiati alle vetture abbozzate o gettati in strada, per assaggiare tutto da questo bancone, e per quanto Roma offra delle buone pasticcerie, questa che si professa la migliore è sì consolatoria ma se la gioca con altre due o tre davvero eccelse.
La nostra colazione si è svolta insieme all’onorevole Polverini, habitué di locali adiacenti al Parlamento, ciarliera con i suoi ospiti di tavolino al bar. Mentre la Renata nazionale sfoggiava l’ultima mise, abbiamo ingollato un par di cornetti classici romani artigianali, migliori però quelli con la glassa dei semplici, non troppo dolci, definibili "seri", parchi, nella loro panciuta e pienotta goduriosità. Non troppo grandi invece i maritozzi con la panna, altra bandiera capitolina non facile da trovare in Città, ormai. Una prece e sei euro per due.
Ottime le mini sfogliatelle, un euro l’una vale l’attimo in cui si è grati di stare al mondo, unte e farcite di ricotta e arancia candita, meno saporite le grandi. Superlativi i mignon alla frutta, sempre freschi e come coperti di brina, inno al walhalla del glucide e omaggio di punta per cene con amici, vantandosi della storica provenienza (questi li ho presi da Giolitti, eh!)
Buoni i mont blanc, con base di croccante meringa, panna e crema di marroni, non male le tortine con menzione speciale per quella crema e pinoli cosi come i mini strudel, molto poco altoatesini.
Un attimo di riflessione dedicato a quale vassoio scegliere e con cosa riempirlo e la carta rossa col logo dorato già avvolge la nostra dose di oppiaceo al saccaride che ci renderà felici. Alla cifra economica di tredici euro per il vassoietto piccolo.
Il punto debole di Giolitti, però, oltre alla scarsezza di torte presenti in vetrina, incastonata nel mitico marmo verde e oro cosi come i banconi e gli antichissimi interni (che necessiterebbero almeno una romanella, come si dice qui) è la gastronomia di panini e tramezzini. Pochi gli sfilatini presenti e non eccellenti in fantasia, così come i modesti, oserei dire tristi tramezzi. In compenso è presente solo a pranzo una assediata piccola tavola calda di verdure.
Un’altra incognita tutta giolittiana è l’aperitivo; pare proprio che qui non sia arrivata questa usanza nordica di abbuffarsi prima di cena e che questo bar dai decori sontuosi e sorpassati sia immune alle pizzette milanesi. Al massimo poi trovà un Campari accompagnato da due patatine.
Eppure Giolitti è Giolitti e a quanto pare è sbarcato anche in Japan. Chissà cosa direbbe Nazzareno il fondatore, nel vedere quanto lontano è arrivata quella umile latteria; o forse ne direbbe di più nel vedere l’onorevole Boldrini parlare del più e del meno con il proprio cortese e affabile personale. Che famo, ci torniamo? Ennamo, torniamoci va’.