Cercando la parola "Orecchietta", sulla Treccani si legge: "al plur, orecchiette, tipo di pasta a forma di gnocchetti schiacciati, simili a piccole orecchie, tradizionale nella cucina pugliese". Chiancaredd, recchie o ricchietedd, questo particolare formato di impasto fatto di farina, acqua e sale è rinomato nell'intero Globo e suscita inevitabilmente istantanee di cielo terso, chilometri di muretti di pietra bianca ed estensioni di ulivi centenari. Chiunque abbia visitato la Puglia porta dentro di sé i medesimi capisaldi di una identità molto forte di questo antichissimo territorio dai numerosi insediamenti iapigi e dalla conformazione paesaggistica variegata. Ma soprattutto porta con sé una borsa di cibarie tipiche, compresi i vini; ciciri e trie, pasticciotti, panzerotti, riso e cozze, purpi arrosto, burrate, taralli e cime di rapa. Diciamo che in Puglia 'non te mori de fame', parafrasando un romano a caso. Che sia la pizzica, i Trulli di Alberobello, patrimonio Unesco, le antiche masserie o il delizioso caffé alla mandorla, l'antica Apulia è il rifugio adatto dove riprendere forze e fare scorta di cibo e gioia. Il celebre attore Lino Banfi - al secolo Pasquale Zagaria- che in quanto a gioia ed allegria è campione nei suoi film, ha pensato di celebrare la sua amata terra d'origine aprendo un ristorante a Roma, nel borghese quartiere Prati.
Banfi, originario di Andria ma trasferitosi infante a Canosa con la famiglia, ha fatto della sua amata città diomedea una vera e propria bandiera, infarcendo tutta la sua carriera - ed il suo locale - di riferimenti al natìo territorio dauno che ama tanto. Siamo andati dunque a cercare un po' di Apulia in Prati, nella speranza di vincere l'afa di questi giorni romani immaginandoci nell'atto di affacciarci dal maniero federiciano Castel del Monte, per guardare l’altipiano delle Murge estendersi per 18 chilometri fino ad Andria. Possibilmente addentando una burrata. La strada capitolina nella quale si trova L'Orecchietteria di Banfi è quello che è. Buia e solitaria, soprattutto la sera in estate. Di certo l'entrata, se non fosse rallegrata da frasi iconiche del Commissario Lo Gatto, non susciterebbe affatto l'emozione di ballare in Puglia 'dove la notte è buia buia buia' - cit. Ma d'altronde eravamo stati avvisati; sulla pagina web di prenotazione vi è scritto "ristorante semplice con una sala informale che serve piatti tipici e di street food”. E informale la sala lo è, nulla da eccepire.
Pareti dalla boiserie marrone, tavoli basic e alle pareti numerose riproduzioni di Lino Banfi ritratto nelle scene più celebri dei suoi film. Ad accoglierci ci aspettavamo Lino in persona intonando l’inconfondibile ritornello, tanto caro ad ognuno di noi ‘E benvenuti ai fr…icchettoni, grandi grossi e capoccioni’. Invece c'è Fabio, marito di Rosanna, figlia di Lino. Ci spiega subito che la gestione è interamente familiare, infatti cucina il genero di Rosanna e serve ai tavoli la figlia Virginia ed altri affezionati collaboratori. Dimentichiamo muretti di pietre e cieli bui ma anche mare color acquerello e case bianche e ci accomodiamo accanto ad una più prosaica etagère in frassino con souvenir e suppellettili come fossimo in una casa qualunque. Già preparati all’arrivo di Nonno Libero della famigerata serie "Un medico in famiglia", giunge invece un solerte imberbe cameriere di origine ventotenese a spiegarci che le orecchiette alla "Porca puttèna" andrebbero prese di grano arso e non semplici, perché sono più buone. 'E vabbé,' rispondiamo noi figli della Lupa.
Dopo la prima forchettata di pasta al pomodoro, capperi, prezzemolo, taralli sbriciolati e due chili di peperoncino urliamo all'unisono "porcaputtèna!". Capendo evidentemente il significato del nome del piatto. Non male, anzi non méle, citando il Nostro. A stemperare l'arso del nostro palato, più che il grano, giunge il "Pasqualotto". Fritto e ripieno di burrata e capocollo, ricorda uno gnocco modenese, non per questo meno bbòno. Nel menù ogni piatto ha il nome di una battuta di Banfi, trovata esilarante, per noi che abbiamo voglia di ridere a tutti costi. Segue il "panzerotto", specialità famosa che induce a produrre salivazione al pari di un lama solo al pensiero, più croccante di quello barese perché è di Martina Franca", ci informano. Arriva il classico fritto mozzarella e pomodoro, non troppo imbottito ma buono. Ne ho mangiati di migliori ma anche questo non si fa parlare dietro, come si dice. Decidiamo di scialare steccandoci - nella Roma giovanile sta per 'dividendoci' - una porzione di bombette di carne tipiche di Martina Franca – differenti da quelle di Cisternino, ci dicono, più allungate- ripiene di formaggio canestrato pugliese, con salsa di cipolle Margherita caramellate a base di zucchero di canna, miele e Vino Fico. La riduzione di Nero di Troia accanto non fa che completare l’opera. Ode al Regno delle Due Sicilie.
Ottime e casarecce; forse personalmente, essendo estimatrice di bombette le avrei lasciate a grigliare di più per conferire sapidità e un minimo di croccantezza e unto. Al momento delle patate Margherita, dalla buccia particolarmente buona e caratteristicamente salata perché cresciute sulla salina, esclamiamo "Madonna dell'Incoronèta"; e tutti si girano a guardarci. Rotondi e pienotti come due trulli siamesi non abbiamo avuto il coraggio di astenerci dal prendere un semifreddo ‘mandorlèto disgrazièto’, e che te lo dico a fa. Ormai si palesava, seduto con noi, Banfi soddisfatto che esclamava guardandoci "La vostra soddisfazione è il nostro miglior premio!" E via di tic. Conto di 53 euro in totale, senza vini onde evitare di collassare per il caldo dinanzi al busto di Camillo Benso Conte di Cavour, il quale, per guardare la Cassazione, da le terga a tutti i passanti, nell'omonima Piazza a lui dedicata. Che dire? Un plauso a questa trattoria che resiste ormai da anni in questa Roma, in questa Roma che... In questa Roma. Ci tornerei? Effettivamende!