“Ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare”. È una delle frasi che sarebbero state scritte a mano da Andrea Sempio su un foglio trovato tra i suoi rifiuti. Un pensiero buttato via, ma che oggi torna a galla insieme a un vecchio dettaglio mai davvero archiviato: un’impronta. Anzi, l’impronta. Era stata catalogata come “impronta 33” dai RIS di Parma, nel 2007, sulle scale che portano al seminterrato della villetta di Garlasco. Le stesse dove, il 13 agosto di quell’anno, è stato ritrovato il corpo senza vita di Chiara Poggi. All’epoca sembrava inutilizzabile. Ma oggi, grazie a nuove tecnologie di analisi, è stata attribuita proprio a lui: Andrea Sempio, 37 anni, storico amico del fratello di Chiara, Marco Poggi. A spiegarlo è la Procura di Pavia, che ha riaperto un filone d’indagine sull’omicidio. L’impronta è stata trovata sulla parete destra della scala, trattata con ninidrina spray nel corso dei rilievi del 21 agosto 2007. Fotografie digitali, campioni grattati via col bisturi, una parte scartata perché “non utile”, l’altra archiviata.


Ora, con l’aiuto di nuove tecnologie hardware e software, quella stessa traccia è stata rianalizzata e attribuita “per la corrispondenza di 15 minuzie dattiloscopiche” al palmo destro di Sempio. La conferma è ufficiale, messa nero su bianco dal procuratore Fabio Napoleone. Sempio in casa Poggi ci entrava spesso. Ovunque, tranne nella stanza dei genitori. Taverna, scale, seminterrato: tutto a portata. Ma perché quell’impronta è lì? E perché, dopo così tanto tempo, la sua presenza riemerge così prepotente? Ci sono anche quei bigliettini e i diari. Fogli manoscritti ritrovati tra i rifiuti, acquisiti dai carabinieri come materiale probatorio. Alcuni contengono riflessioni personali, quasi confessioni. Altri riportano gli spostamenti del giorno del delitto, come se cercasse ancora di costruire un alibi, come se volesse riscrivere la memoria. Il Racis di Roma sta lavorando per delineare un profilo psicologico partendo proprio da queste note. Gli avvocati Angela Taccia e Massimo Lovati lo difendono. Ma intanto la procura indaga. Perché, a distanza di 18 anni, qualcosa potrebbe non tornare. E il caso Garlasco, che sembrava chiuso, potrebbe essere ancora lontano dalla parola fine.

