Tyler Robinson, il killer di Charlie Kirk avrebbe inciso su alcuni proiettili la frase “Hey fascist, catch this”, citazione tratta da Helldivers 2, titolo videoludico di fantascienza militare dai toni ironici tipici della cultura pop americana. Altri sostengono che Robinson si sia ispirato a Far Cry 6, per quanto riguarda il "bella ciao". E allora eccoli, puntuali come il bollettino meteo, i professoroni da talk show pronti a spiegare che l’omicidio politico nasce dai videogiochi e dalla loro violenza. I controller sono davvero più pericolosi dei fucili? Questa domanda manda in bestia Massimiliano Parente, scrittore e saggista - autore della monumentale trilogia dell'Inumano e pamphlet polemici come La casta dei radical chic e L’idiozia contemporanea - che ne ha le scatole piene di queste sciocchezze. Da anni firma le pagine culturali del Giornale, ma nel frattempo non ha mai mollato il telecomando della sua playstation, essendo un accanito gamer di Call of Duty e Battlefield, temuto avversario e per nulla convinto che la colpa sia dei videogiochi. Anzi, magari "Putin o Netanyahu giocassero un po' di più ai videogiochi, forse non ammazzerebbero civili nella realtà".

Come influiscono i videogiochi di guerra sulla radicalizzazione politica dei giovani?
È dagli anni ’80 che sento dire che i videogiochi fanno male, creano violenza, rovinano i giovani: due coglioni, è sempre la stessa solfa da Mortal Kombat a Gta. Ma gli studi seri dicono che non c’è nessun legame causale tra videogiochi e violenza reale, e al massimo effetti minuscoli su “aggressività” (che non vuol dire sparare a qualcuno). E poi questi studi li puoi fare su qualunque cosa: se uno è disturbato può farsi venire un’idea guardando Arancia Meccanica, leggendo American Psycho, Catcher in the Rye, Fight Club, Delitto e Castigo (dove uno ammazza una vecchia a colpi d’accetta), Il conte di Montecristo (800 pagine di vendetta), guardando Breaking Bad o Gomorra, perfino ascoltando i Sex Pistols. Qualsiasi prodotto culturale può alimentare un’ossessione se uno è già predisposto. Non è il medium a radicalizzarti, è la testa che già non funziona.
C’è qualche titolo tipo Call of Duty o Battlefield che ha anticipato scenari geopolitici?
No, i giochi non predicono il futuro: usano l’attualità come ambientazione. L’idea che “abbiano previsto tutto” è marketing, non profezia.

Come funziona Discord e che ruolo ha in questi casi?
È una chat vocale e testuale. Può ospitare una sessione di Dungeons & Dragons come un gruppo di estremisti, dipende da chi la usa. E anche la storia delle chat vocali è un falso problema: sì, si è scritto che alcuni terroristi dell’Isis o di Al-Qaeda usassero le chat della PlayStation per parlarsi, ma solo perché non erano monitorate come altre chat. Se le monitori tutte dovresti avere un microfono nella casa di ogni cittadino, e anche quello non basterebbe. Non è il mezzo, è la persona.
È colpa dei videogiochi, dei social o siamo noi a essere malati?
Colpa dei videogiochi no, basta capri espiatori. I social amplificano ma non creano il problema: la radicalizzazione è multifattoriale, ci sono contesti, identità, rancori, e certo, la possibilità di trovare la propria bolla online. Ma il vero casino è che ormai tutto viene radicalizzato, qualsiasi argomento diventa subito un’arena di scontro ideologico. Persino sull’omicidio di Kirk la gente ha iniziato a fare a gara a chi dava più colpe all’altro, la destra che urla contro le università “woke”, la sinistra che urla contro le armi, e nessuno che dica: oh, forse stiamo un po’ esagerando. Siamo tutti incazzati per sport, e questo è il terreno perfetto per spingere uno che ha la testa già sfasciata a sentirsi un soldato in trincea. Casomai il problema, questo sì legato ai social, è la diffusione dell’ignoranza e i bias di conferma.
I videogiochi alimentano le teorie del complotto?
No, sono le community tossiche a farlo, i social, non i giochi, perché nei giochi si gioca e basta, non è che ti metti a parlare di vaccini. Alcuni spazi legati al gaming vengono usati da complottisti perché funzionano come hub di aggregazione. Ma non è che Fortnite ti spieghi QAnon, semmai trovi QAnon che ti aspetta in un server.

La frase “Hey Fascist, catch this” di Helldivers 2 ci dice qualcosa su Robinson?
Ci dice che conosceva un meme. Helldivers 2 è satira alla Starship Troopers, è pieno di frasi sopra le righe. Leggere la psiche di un assassino da una battuta di un videogioco è ridicolo.
Videogiochi di guerra e vendita libera di armi in America sono un problema per la società?
La correlazione è zero: paesi che giocano di più (Giappone, Corea del Sud, Germania) hanno tassi di omicidio tra i più bassi al mondo. E nel mondo parliamo di centinaia di milioni di persone che giocano a Call of Duty, Counter-Strike, Battlefield, sparano pixel tutto il giorno. Ti sembra che ci siano centinaia di milioni di killer in giro? L’unica cosa che fa la differenza è l’accesso alle armi: puoi giocare mille ore a Battlefield, ma se vivi in un paese dove per avere un fucile devi fare sei mesi di iter burocratico, non vai a sparare a nessuno (poi secondo me se sei un fuori di testa le armi le trovi lo stesso). E oltretutto, se vogliamo fare i conti con le statistiche, in Gran Bretagna la maggior parte degli omicidi avviene con armi da taglio: che facciamo, vietiamo i coltelli in cucina e torniamo a strappare il pane coi denti?
Quindi i videogiochi fanno male o no?
No, e l’abbiamo appena visto: non c’è nessuna prova che creino killer, e anzi ci sono studi che dicono che possono perfino fare bene. Lo studio del NIH su 2.000 bambini dimostra che chi gioca tre ore al giorno ha punteggi migliori su memoria di lavoro e autocontrollo, e una meta-analisi recente dice che i giochi d’azione migliorano attenzione e percezione visiva. Quindi paradossalmente i videogiochi possono anche allenarti il cervello, altro che fabbriche di psicopatici. E anzi, magari Netanyahu e Putin giocassero ai videogiochi: passerebbero il tempo a camperare e a insultarsi in chat vocale invece che bombardare civili.
