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Omicidio Giulia Tramontano, la sorella Chiara ci racconta il dolore: “Sarò felice dopo quello che è successo?”. Impagnatiello? “Ralph Lauren dovrebbe denunciarlo”. E sul libro “Non smetterò mai di cercarti”…

  • di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

  • Foto: ANSA

16 luglio 2025

Omicidio Giulia Tramontano, la sorella Chiara ci racconta il dolore: “Sarò felice dopo quello che è successo?”. Impagnatiello? “Ralph Lauren dovrebbe denunciarlo”. E sul libro “Non smetterò mai di cercarti”…
In "Non smetterò mai di cercarti", scritto da Chiara Tramontano, c’è Giulia, c’è Thiago, c’è tutto quello che è successo dopo quel maledetto 27 maggio. Dopo l’omicidio. Dopo l’avvelenamento. E c’è anche quello che sta accadendo adesso, dopo una sentenza d’appello che ha tolto la premeditazione come se fosse un dettaglio senza alcun peso. Impagnatiello, secondo i giudici, voleva “soltanto” interrompere la gravidanza. Ma come si fa ad accettare una simile sentenza? Dove sta l’umanità in tutto questi? Ne abbiamo parlato insieme a Chiara, che ci ha fatto sentire e diventare parte della propria voce, il suo modo per non lasciarli andare…

Foto: ANSA

di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

Nel contesto della XXIV edizione del festival “Il Libro Possibile” a Polignano a Mare, noi di MOW abbiamo intervistato Chiara Tramontano, che non è soltanto la sorella di Giulia. È la voce che resta quando il silenzio diventa troppo assordante. È la parola che taglia, quella dolorosa verità che non intende arretrare di un centimetro. In "Non smetterò mai di cercarti" ha messo nero su bianco quello che nessuno avrebbe voluto vivere sulla propria pelle: l’orrore, la rabbia, l’assenza. Capitoli scritti nel dolore, perché la verità, una volta messa su carta, diventa definitiva. Non la puoi più riscrivere. E non puoi nemmeno immaginare un finale diverso. Perché Giulia non c’è più, e con lei se n’è andato anche il piccolo Thiago, il bambino che portava in grembo. A strapparli alla vita Alessandro Impagnatiello, il compagno che prima l’ha avvelenata per mesi con il topicida, e che poi l’ha uccisa in un modo brutale quanto inumano. Ma per la Corte d’Appello, nonostante la conferma dell’ergastolo, non c’è stata premeditazione. Come se comprare del veleno e tenere due vite in bilico non bastasse. Chiara ci ha raccontato il suo dolore, il senso di colpa di chi resta, dei giorni in cui gli altri ti chiedono di ricominciare e tu ti chiedi solo se hai il diritto di farlo, e della rabbia contro una giustizia che riscrive i moventi ma non risana i vuoti. Ci ha parlato del processo, della violenza istituzionale, della doppia vita di un assassino che “non esiste” più per lei. E di una famiglia che, pur devastata, non si è mai arresa. Perché questa non è giustizia. È una versione addomesticata dell’orrore. Perché Giulia merita tutto. Anche quella parola che manca: premeditazione.

“Non smetterò mai di cercarti”, di Chiara Tramontano
“Non smetterò mai di cercarti”, di Chiara Tramontano Ansa

Com’era la Chiara che ha iniziato a scrivere il libro e com’è diventata dopo averlo terminato?

Forse non c’è una grandissima differenza tra la Chiara di prima e quella dopo la scrittura del libro. Forse la vera differenza sta tra il prima e il dopo il 27 maggio 2023.

Il giorno in cui tua sorella Giulia è stata uccisa.

La Chiara di prima non aveva ancora realizzato pienamente cosa fosse successo, e cosa questo avrebbe comportato per la sua vita. Una Chiara buttata nella quotidianità, senza la necessità di mettere per iscritto ciò che era accaduto, e questo significava anche non doverci riflettere troppo.

Una volta scritto cosa è cambiato?

Una volta che è diventato nero su bianco, non c’è più stato modo di fuggire dalla realtà. Forse ora sono una Chiara più consapevole di quanto la vita sia e sarà difficile, quindi un po’ meno ottimista sull’idea di una vita “facile”. Ma al tempo stesso sono anche sicura che ciò che ho raccontato sia un processo che potrà aiutare altre donne. Quindi sì, sono diventata più consapevole del fatto che condividere il dolore può avere una funzione importante.

Com’è stato rivivere da capo tutti quei momenti dolorosi, quando non erano più solo nella tua testa ma anche su carta?

A dire il vero, non ho mai riletto il libro finito. Ci sono capitoli che ho scritto in un momento di dolore profondo, come quello sulla ricerca di mia sorella e sul ritrovamento del corpo a Senago. L’ho riletto la notte stessa o pochi giorni dopo, quando l’ho completato e inviato ai curatori. Non ho mai voluto rileggerlo di nuovo, perché, in modo irrazionale, avevo già buttato giù la verità nella sua crudezza, così com’era.

Giulia Tramontano insieme alla sua famiglia
Giulia Tramontano insieme alla sua famiglia Ansa

Quando parli di come tutte le speranze di ritrovare Giulia viva sono crollate.

Quel capitolo racconta il momento in cui mio fratello ha ritrovato il corpo di mia sorella. Avevo dolore a ricostruire quella storia rileggendo le pagine. Da un lato ero fiera di essere riuscita a trasformare il dolore in parole, perché non è mai facile. Era come poter toccare con mano qualcosa che prima era immateriale. Dall’altro lato, è stato un dolore immenso, perché una volta scritta, la verità è lì per sempre.

Perché non potevi più cambiare quanto è accaduto a Giulia.

Si, né riscrivere un finale meno tragico, o immaginare dettagli diversi. In questo senso, è stato come ricevere uno schiaffo dalla verità: una volta che è scritta, non puoi più modificarla.

Un passaggio che colpisce molto è quando racconti di aver capito che tua sorella non era più raggiungibile. Si riesce a percepire tutta la tua angoscia. A mente fredda, pensi che una parte di te abbia capito subito che fosse successo qualcosa di grave?

No. Penso di aver vissuto quei due giorni con una speranza sincera, e ne sono grata. Perché la speranza mi ha dato anche lucidità. Per me era assurdo pensare che mia sorella fosse scomparsa, uccisa o che si fosse buttata da un ponte. Era ovvio che si fosse semplicemente allontanata, perché non c’era mai stato nulla che mi avesse fatto immaginare una cosa del genere. La cercavo come si cerca una persona scomparsa. Non ero disperata. Non perché l’amore mi spingesse a cercarla a tutti i costi, ma perché credevo davvero che fosse ancora lì, da qualche parte, ad aspettarmi. Io semplicemente dovevo farle sapere che la stavamo cercando. Non ho mai perso la speranza. Sono stati giorni in cui ho davvero creduto di poterla riabbracciare.

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Colpisce molto anche quando racconti di aver rivissuto mentalmente tutti i momenti peggiori, cercando di cambiarne il finale. Quanto è difficile convivere con il senso di colpa di chi resta?

Molto. Perché anche la vita quotidiana diventa una sfida continua con la realtà. Hai 28 anni, una vita davanti, e i tuoi amici ti spronano a vivere, a fare esperienze: magari andare a un festival, uscire, bere con gli amici. E tutto questo si scontra con il senso di colpa: posso davvero festeggiare dopo quello che è successo? È un momento complicato.

Perché, talvolta, il senso di colpa è accompagnato da un profondo senso di ingiustizia.

Guardi alla tua vita e la senti come un fallimento, mentre il resto del mondo si gode i momenti felici con la propria famiglia. Io vivo quei momenti in modo parziale, perché manca sempre qualcosa. Penso che non vedrò mai più la mia famiglia felice com’era. E questo senso di ingiustizia si lega all’impotenza, al senso di colpa. Ma alla fine, devi andare avanti. Fermarti significherebbe non lavorare, e quindi non vivere. Siamo parte di un fiume che scorre, a volte in modo fastidioso, a volte travolgente. La vita riprende. Ma nel frattempo c’è un’altra vita, quella dei sentimenti, che scorre parallela, e che ti ricorda che niente sarà più come prima. Che la vita è ingiusta.

Si parla sempre delle vittime, giustamente, ma non abbastanza del dolore eterno di chi resta. Di chi si ritrova a combattere con un’assenza quotidiana che logora nel profondo .

Non saprei. Credo sia giusto parlare sempre delle vittime. Il problema è che la morte è come una grande infestazione in un bosco: non colpisce solo un albero, ma devasta l’intero campo. Chi resta può fare la differenza. Non è un obbligo, ma sono spesso le famiglie a diventare testimoni, a battersi, a raccontare. Non ci sarebbe attenzione sul femminicidio se le famiglie delle vittime non si fossero battute. Non ci sarebbe consapevolezza sul tessuto sociale che lo genera. Eppure manca un vero supporto psicologico, economico. In Italia, basta avere poco più di 1000 euro al mese per non avere diritto al gratuito patrocinio. Così ti ritrovi anche a dover affrontare spese legali che aumentano il senso di ingiustizia. Per questo, chi resta andrebbe sostenuto nei processi e in tutto ciò che li attende.

Chiara Tramontano alla XXIV edizione del festival “Il Libro Possibile” a Polignano a Mare
Chiara Tramontano alla XXIV edizione del festival “Il Libro Possibile” a Polignano a Mare

Per voi, come famiglia, com’è stato venire a conoscenza della doppia vita di Impagnatiello? E della decisione di tua sorella, che aveva scelto di incontrare quest’altra donna? È emblematica l’immagine di loro due insieme prima dell’omicidio...

Non c’è nessun senso di solidarietà. L’altra donna era consapevole di essere l’amante, si era presentata in una casa dove era chiaro che ci fosse una relazione in corso. Poi, stanca di essere il terzo incomodo, ha raccontato tutto, sapendo già che si tramava un omicidio. Noi non abbiamo mai veramente discusso di lei. La nostra attenzione era solo su Giulia, sulla sicurezza di riportarla a casa, di prenderci cura di lei, anche nel dolore. Quando siamo partiti per cercarla, per noi lui non aveva più alcun senso. L’ho pensato subito: è un assassino. Non ci siamo mai messi a commentare le sue azioni, non hanno alcun valore. Per me non esiste. È uno spreco di umanità.

Arriva tutta la forza del tuo dolore quando dici che persone come lui non dovrebbero nemmeno potersi presentare in aula durante i processi...

Se fossi Ralph Lauren, il brand della camicia che indossava, gli farei causa per danno d’immagine. Si è presentato con una faccia da vittima. Ma qui ci sono due famiglie: da una parte una famiglia distrutta, dall’altra una famiglia complice. Hanno persino intestato l’auto a un’altra persona per venderla e impedirne il sequestro. Sono persone che stanno facendo di tutto per ostacolare la giustizia. La mela non cade mai lontano dall'albero.

Siamo reduci da una sentenza in appello che ha lasciato tutti sgomenti: l’assenza della premeditazione.

È un Paese ipocrita.

Ti aspettavi che non venisse riconosciuta la premeditazione per l’omicidio di Giulia?

No, non me l’aspettavo. Speravo nella crudeltà. Ma dopo aver visto il caso di Giulia Cecchettin, 76 coltellate, nessuna crudeltà riconosciuta, temevamo che finisse così. Ma io non mi arrenderò. Se ci sarà la possibilità, chiederemo la Cassazione. Vogliamo la premeditazione. Mio padre dice che non cambia nulla, ma per noi è fondamentale. Perché oggi gli tolgono la premeditazione, domani gli danno le attenuanti, e tra 20 anni quest’uomo è fuori. Dobbiamo spegnere ora questa piccola fiamma prima che diventi un incendio. Noi combatteremo per avere giustizia, per avere la premeditazione. Vedremo come andrà a finire.

 

I genitori di Giulia Tramontano durante il processo
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