Ilaria Sula, una giovane studentessa di statistica, è stata brutalmente uccisa a Roma. A confessare l’omicidio è stato Mark Antony Samson, ex compagno della vittima. Ma se lui ha ammesso le proprie responsabilità, le indagini sono tutt’altro che concluse: molti dettagli non tornano e la ricostruzione fornita dall’assassino presenta falle evidenti.
Samson ha raccontato agli inquirenti di aver ucciso Ilaria nella tarda mattinata del 26 marzo, intorno alle 11, mentre le portava la colazione a letto nell’appartamento di via Homs. A suo dire, avrebbe poi impiegato circa tre ore per rimuovere il cadavere, pulire la scena del crimine, chiudere il corpo in un bustone, infilarlo in un trolley, avvolgere il tutto in altri due sacchi e caricare la macabra valigia su un’auto. Una versione dei fatti che risulta già smontata dalla confessione della madre dell’uomo, che ha ammesso di averlo aiutato a ripulire le tracce di sangue nell’appartamento.
Ma le incongruenze aumentano se si osservano i dati tecnici raccolti dagli investigatori, a partire dalle celle telefoniche agganciate dal cellulare di Ilaria. Mark, dopo averla uccisa, ha tenuto con sé il telefono della ragazza per circa una settimana, inviando messaggi a familiari e amici per far credere che fosse ancora viva, cercando di depistare le ricerche. E proprio il tracciamento del cellulare, incrociato con le immagini delle fototrappole installate nei pressi della discarica di Capranica Prenestina dove è stato abbandonato il corpo, mette in discussione l’intera timeline fornita dall’uomo.

Alle 14.36 del 26 marzo, il segnale del telefono di Ilaria viene rilevato a Monte Porzio Catone. Tre ore dopo, il cellulare si aggancia a una cella di Zagarolo e, venti minuti più tardi, in un’area non meglio identificata all’interno del territorio del comune di Roma. Nello stesso arco temporale, le telecamere ambientali rilevano il passaggio dell’auto della famiglia Samson di ritorno nella Capitale: due scatti, alle 18.18 e alle 18.35, dimostrano che il corpo era già stato abbandonato.
Ma gli orari e le distanze percorse non coincidono con le dichiarazioni di Mark. Restano poi due grandi incognite: l’orario della morte, che non è inferibile neanche attraverso l’autopsia dato il ritrovamento a distanza di una settimana; e l’impossibilità di identificare con precisione le persone a bordo del veicolo che ha raggiunto la discarica, poiché il sistema di sorveglianza è progettato solo per leggere le targhe e non per riprendere l’abitacolo.
L’auto utilizzata da Mark è stata lavata a fondo e non sono state trovate tracce ematiche o è stata utilizzata una seconda auto per spostare il corpo? Mark era da solo o qualcuno lo ha aiutato a caricare la valigia nel bagagliaio?
Sono interrogativi che anche l’avvocato Giuseppe Sforza, legale nominato dalla famiglia Sula, intende chiarire. «Ci stiamo muovendo in questo senso», ha dichiarato ieri fuori dal cimitero di Terni, dove è stato celebrato il funerale secondo il rito musulmano. «Bisogna capire se la ragazza il giorno prima dell’omicidio fosse sul punto di tornare a Terni. Tanto che la madre le ha scritto “Hai preso il treno?”, senza ottenere risposta».
È possibile che Ilaria volesse mettere fine alla relazione con Mark proprio la sera del 25 marzo, per poi raggiungere i suoi cari a Terni. Un dettaglio che, se confermato, potrebbe ribaltare completamente l’ordine degli eventi e dimostrare che la ragazza sia stata uccisa prima rispetto a quanto dichiarato dall’assassino. E che la madre di lui non sia stata una semplice complice nell’occultamento del cadavere o nel pulire, come raccontato, il luogo del delitto.
