Altro giro, altra mossa. Nel caso di Liliana Resinovich – scomparsa nel dicembre 2021 e trovata morta due settimane dopo in un parco di Trieste – il Gip dice no alla perizia chiesta dagli avvocati di Sebastiano Visintin, marito e unico indagato. Il punto è una frattura alla vertebra toracica T2: non fu provocata dal tecnico dell’obitorio, come lui stesso aveva ipotizzato. La lesione era già visibile nella Tac dell’8 gennaio 2022. Il preparatore ci mise le mani il giorno 11, ma ormai è ufficiale: la frattura c’era già. La notizia arriva da “Chi l’ha visto?”, ma le prime crepe nel racconto del tecnico – che a maggio aveva dichiarato “potrei essere stato io” – erano già state anticipate da Il Piccolo. Il Gip, nel frattempo, dà il via libera alla richiesta della procura: ci sarà una perizia in incidente probatorio sui reperti già passati al setaccio.

Riflettori puntati sugli abiti, i coltelli sequestrati in casa Visintin e un bracciale nero e celeste consegnato dal fratello di Liliana. L’udienza è fissata per l’8 luglio. E mentre l’autopsia della professoressa Cristina Cattaneo parla di soffocamento esterno come causa probabile della morte, la frattura – dicono gli esperti – non sposta l’equilibrio tra colpevolezza o innocenza. Ma il fatto che non sia stata post-mortem cambia qualcosa. Perché se è stata inferta prima, allora qualcuno ha usato violenza. E se quel qualcuno non è un tecnico in obitorio, torna tutto al punto di partenza. Anzi, più vicino alla verità.

