C’è chi va a Riccione per i locali, il mare e l’estate che non finisce mai. Sebastiano Visintin ci è andato per ricordare sua moglie, Liliana Resinovich. Dice che era un posto che lei amava e che non è mai riuscito a farle vedere. Un viaggio di memoria, dice lui. Ma la verità è che, mentre lui si racconta davanti alle telecamere di Ore 14, la Procura lo ha messo sotto indagine. Ed è l’unico nome nel fascicolo per la morte di Liliana. Un fascicolo che si è riaperto dopo la nuova perizia della dottoressa Cristina Cattaneo: non più suicidio, ma possibile omicidio. Da lì, l’indagine ha preso una direzione chiara. Secondo gli inquirenti, Sebastiano potrebbe averla prelevata la mattina della scomparsa, uccisa e poi abbandonata in quel boschetto, dove il suo corpo venne ritrovato due settimane dopo, chiuso in due sacchi della spazzatura. A casa dell’uomo sono stati sequestrati coltelli e vestiti. E ora vengono passati al setaccio anche i video che Visintin aveva girato il giorno in cui Liliana sparì. Il suo consulente, il dottor Baresani, spinge però su un’altra lettura: e se la pista giusta fosse ancora quella del suicidio?


Sebastiano non nega di pensarci. “Spero non sia vero”, dice. Perché significherebbe che lui, qualcosa, non l’ha capita. O non l’ha vista arrivare. E ammette che “negli ultimi tempi era cambiata”, da quando era morta la madre e poi con il Covid, che aveva lasciato strascichi. Ma sull’ipotesi di un omicidio si blocca: “Mi fa venire i brividi pensare che qualcuno abbia voluto farle del male”. Racconta anche della generosità di Liliana, di quanto aiutasse il fratello, anche a costo di chieder soldi in prestito ad amici e colleghi. “Ha pesato sulla sua vita. E sulla nostra, più volte ha dovuto chiedere prestiti a colleghi ed amici”. Un modo per spiegare il silenzio? O per spostare l’attenzione? Domande che restano sospese. Come il destino del caso. E come la verità, che forse ancora non ha trovato il coraggio di uscire.

