C'è un prima e un dopo nel caso di Liliana Resinovich, e quel confine sottile potrebbe stare tutto in una manciata di telefonate e nella direzione presa da un cane, il 31 dicembre. Mattino 5 torna sul caso, e stavolta la lente si ferma su una sera convulsa: quella del 30 dicembre, pochi giorni prima che il corpo di Liliana venisse trovato in un boschetto, dentro due sacchi neri. Al centro, ancora lui: Sebastiano Visintin, il marito. Quella sera riceve una chiamata alle 19:01 da un apicoltore, poi si sposta per incontrarlo. Alle 21:20 arriva una nuova telefonata: è il figlio, che dice di aver avuto un guasto all’auto. Sebastiano inizia a cercare una corda. Prima chiama la vicina Gabriella alle 21:28. Poi, inspiegabilmente, chiama un amico della Carnia, a più di 100 chilometri di distanza, alle 21:42. Lo risentirà altre due volte, alle 22:37 e 22:44. Tutte chiamate brevi. Poco chiare.


Ora quell’amico verrà sentito in Procura. Come già successo con Jasmina, l’albergatrice che ricevette Sebastiano nei giorni seguenti. Gli inquirenti vogliono capire: che succede davvero la notte del 30 dicembre? E cosa stava facendo Sebastiano in quelle ore? Nel frattempo spunta una testimonianza che potrebbe spostare tutto. Una donna racconta che il 31 dicembre, verso l’una e mezza, il suo cane – addestrato alla ricerca – si è comportato in modo strano. In sei anni mai aveva deviato dal percorso. Quel giorno invece ha tirato verso il boschetto. “È come se volesse portarmi lì”, racconta. Il sospetto è forte: Liliana era già lì, morta, il 31 dicembre. La testimone è convinta: se fosse stata lì da giorni, tra cani liberi e padroni distratti, qualcuno l’avrebbe trovata prima. E così si restringe la finestra temporale del delitto. Non il 14, non il 5. Forse la notte tra il 30 e il 31 dicembre. Proprio quella delle telefonate confuse, degli amici lontani chiamati senza motivo, e di un marito che continua a dire di non saperne nulla.

