Liliana Resinovich è morta e ancora non si sa quando con certezza. O meglio, nessuno riesce a metterci la mano sul fuoco. Nemmeno la scienza. Per tentare di ricostruire l’esatto momento della morte della donna, i consulenti del marito Sebastiano Visintin – tra cui l'ex comandante del RIS Luciano Garofano – hanno commissionato un'analisi innovativa alla ricercatrice Noemi Procopio, esperta nello studio del microbiota post-mortem. Cosa c’entra? Semplice (più o meno): i batteri che colonizzano un cadavere possono, in teoria, raccontare quanto tempo è passato dalla morte. E perfino se il corpo è stato congelato. Il test, normalmente usato su carne animale, ha rilevato tracce di un batterio compatibile con una conservazione a temperature molto basse. Quindi? Forse, il corpo di Liliana è stato congelato. Ma qui si apre il fronte dello scontro. Perché gli esperti nominati dalla Procura, tra cui l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, rigettano l’ipotesi: troppo poco affidabile, dicono.


Il microbioma come orologio della morte? Ancora roba da laboratorio, roba pionieristica. Troppi problemi: biologici, tecnici, persino di database. E soprattutto, nessuno sa quale fosse la “popolazione batterica di partenza” della donna. Tradotto: è come voler indovinare un puzzle di mille pezzi avendone solo venti. Secondo la Cattaneo, il cadavere è rimasto esattamente dove è stato trovato. Per venti giorni, in silenzio, senza essere mai spostato né congelato. Punto. Ma la verità resta una nuvola che cambia forma a seconda di chi la guarda. La scienza cerca risposte, ma la cronaca vuole certezze. E Liliana, per ora, resta intrappolata nel dubbio.

