Tre anni e mezzo dopo la scomparsa e la morte di Liliana Resinovich, la Procura di Trieste mette nero su bianco: per la prima volta c’è un indagato, e si chiama Sebastiano Visintin. Suo marito. Il 14 dicembre 2021, la donna spariva nel nulla. Venti giorni dopo, il suo corpo veniva ritrovato in un boschetto, in un sacco della spazzatura. Da allora, solo silenzi, sospetti e contraddizioni. Ora la svolta: per gli inquirenti, non è più solo una tragedia oscura, ma un potenziale omicidio con un nome. Visintin, raggiunto da Quarto Grado, si presenta scosso ma determinato. “La Procura ha le sue teorie. Io sono sereno, non ho nulla da temere. Ma è stato tremendo”. Racconta di perquisizioni, coltelli portati via, hard disk analizzati: “Hanno trovato 600mila foto mie e di Liliana. Abbiamo viaggiato insieme, la nostra vita era documentata”.


Senza abbandonare quel tono distaccato che lo ha sempre caratterizzato – a tratti quasi rassegnato – Sebastiano dice di non avere sospetti su nessuno: “Vorrei solo capire cosa è successo. Non ho idea di chi possa aver fatto del male a Liliana”. Alla domanda se si senta sconfitto dopo essere stato per anni bersaglio delle accuse sotterranee dell’opinione pubblica, risponde: “L’ho detto dal primo giorno: arriverà il momento in cui dovrete chiedere scusa a Sebastiano”. Il fratello di Liliana, Sergio, lo accusa da sempre di aver parlato troppo presto di suicidio. Ma Visintin, per ora, non raccoglie la provocazione: “Ne parleremo con gli inquirenti, quando sarà il momento. Questo non è il processo alle parole di un fratello”. Lui continua a vivere nella stessa casa, tra i ricordi di Liliana e l’eco delle domande ancora senza risposta. “Non ho fatto nulla di male. Questo mi dà la forza per andare avanti. La mia vita con Liliana è tutta lì, nei viaggi, nelle foto. Non ho nulla da nascondere”. È davvero così?

