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Omicidio Poggi, CENTINAIA DI IMPRONTE IN CASA DI CHIARA: come mai solo due appartengono a Stasi? Se fosse lui l’assassino non avrebbe dovuto lasciare tracce sulla porta prima di spingere il corpo per le scale? E sulla maglietta insanguinata mai analizzata…

  • di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

  • Foto di ANSA

10 giugno 2025

Omicidio Poggi, CENTINAIA DI IMPRONTE IN CASA DI CHIARA: come mai solo due appartengono a Stasi? Se fosse lui l’assassino non avrebbe dovuto lasciare tracce sulla porta prima di spingere il corpo per le scale? E sulla maglietta insanguinata mai analizzata…
Le impronte che non tornano nel caso Garlasco. Il settimanale Giallo svela documenti inediti: centinaia di tracce nella villetta di Chiara Poggi, ma 20 impronte restano senza nome. I carabinieri hanno contaminato la scena del crimine senza guanti, mentre la maglietta della vittima con impronte insanguinate non è mai stata analizzata. Una bici che non corrisponde alle testimonianze viene smontata pezzo per pezzo, la maglietta con prove evidenti viene ignorata. Diciassette anni dopo, la verità potrebbe essere scritta proprio in quelle tracce dimenticate…

Foto di ANSA

di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

C'è qualcosa che non quadra nella villetta di Garlasco dove il 13 agosto 2007 è stata uccisa Chiara Poggi. Qualcosa di grosso, di clamoroso, che emerge dalle pagine del settimanale Giallo e che dovrebbe farci riflettere su come sia stata condotta questa indagine. Partiamo dai numeri, perché i numeri non mentono mai. Centinaia di impronte digitali repertate in quella casa, fotografate, analizzate, catalogate dai carabinieri del Ris di Parma. La maggior parte appartengono a Marco Poggi, il fratello di Chiara che viveva lì. Fin qui tutto normale. Poi però iniziano le stranezze.

La traccia 37? È del pollice sinistro del capitano dei carabinieri Gennaro Cassese. Anche le tracce 44, 46 e 48 sono sue. Già, proprio così: un investigatore che mette le mani sul muro della scena del crimine senza guanti. Non è finita qui, perché ci sono anche le impronte dei carabinieri Pizzamiglio e Sangiuliano. Praticamente mezzo comando che ha contaminato la scena. Ma il vero colpo di scena arriva con la traccia 33, quella famosa impronta che "scivola" lungo la parete proprio dove è stato trovato il corpo di Chiara. Per anni è rimasta un mistero, ora sappiamo che probabilmente appartiene ad Andrea Sempio. Il problema? Sempio, secondo le testimonianze dell'epoca, andava "raramente" a casa Poggi. Adesso invece si dice che la sua presenza fosse abituale. Come dire: prima non c'era mai, ora c'era sempre. E poi ci sono loro, le venti impronte fantasma. Tracce dalla 32 alla 35, dalla 38 alla 43, la 45, la 47 e dalla 49 alla 56. Tutte etichettate come "di nessuna utilità". Ma utilità per cosa? Per chi? Venti impronte senza nome, senza volto, senza spiegazione. A che altezza erano? Che forma avevano? Domande senza risposta, indizi senza seguito. La cosa più assurda? Non ci sono le impronte di Chiara nella sua stessa casa. Non ci sono quelle dei genitori che lì ci vivevano. Alberto Stasi, il fidanzato poi condannato, ha lasciato tracce solo sul dispenser del sapone e sul cartone della pizza della sera precedente. Se davvero avesse commesso l'omicidio, se davvero avesse sollevato il corpo di Chiara per gettarlo dalle scale, dove sono le altre impronte? Come ha fatto ad aprire la porta del seminterrato senza lasciare tracce?

Poi c'è la storia della bici, un altro capitolo kafkiano. I testimoni parlavano di una bicicletta nera da donna, i carabinieri sequestrano una bici bordeaux da uomo. La analizzano con il luminol, niente. La smontano pezzo per pezzo, niente. Alla fine trovano una traccia microscopica, forse sangue forse no, dentro un pedale. Una traccia che diventa prima "con elevata probabilità sangue" e poi "uno sputo della vittima". Su questa infinitesima particella biologica si regge l'accusa, mentre la scena del crimine viene ignorata.

ANSA, Alberto Stasi
ANSA, Alberto Stasi
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Il paradosso è servito: 21 persone tra carabinieri, medico legale e pm che camminano sulla scena del crimine senza calzari, contaminando tutto. "Operazioni di riporto" le chiamano pudicamente nella perizia. In pratica, hanno fatto quello che in ogni crime show televisivo ti dicono di non fare mai. E la maglietta di Chiara? Quella con le impronte digitali insanguinate ben visibili sulla spalla? "Nessun prelievo effettuato", scrivono laconicamente. Non hanno nemmeno provato a cercare il DNA. Preferiscono smontare una bici che non corrisponde a nessuna descrizione piuttosto che analizzare la maglietta della vittima con evidenti tracce dell'assassino. Oggi, con le tecnologie moderne, si potrebbe ancora fare qualcosa. Se esistesse una foto in alta risoluzione di quelle impronte sulla maglietta, si potrebbe tentare un confronto. Ma a quanto pare, nessuno ci ha mai pensato. Garlasco non è solo un caso di cronaca nera, è un caso di malasanità investigativa. Una scena del crimine inquinata, prove ignorate, tracce microscopiche elevate a verità assoluta. È la storia di come non si dovrebbe mai condurre un'indagine, raccontata dalle pagine del settimanale Giallo che ha avuto accesso a documenti inediti. Diciassette anni dopo, le domande restano le stesse: chi ha lasciato quelle venti impronte senza nome? Perché la maglietta di Chiara non è mai stata analizzata? Come è possibile che una scena del crimine sia stata contaminata da chi doveva proteggerla? La verità su Garlasco, forse, è scritta in quelle tracce ignorate, in quelle impronte fantasma che nessuno ha mai voluto riconoscere. Ma per trovarla, bisognerebbe ricominciare dall'inizio. E ammettere che forse, fin dall'inizio, qualcosa è andato storto.

La copertina del settimanale Giallo in edicola
La copertina del settimanale Giallo in edicola
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