Il 15 aprile scorso, in serata, Andrea Sempio ha ricevuto una telefonata che l’ha rimesso al centro di un incubo mai del tutto archiviato: il giorno dopo dovrà presentarsi alla caserma dei carabinieri di Milano per un nuovo prelievo delle impronte digitali. Non è un errore né un deja-vu giudiziario quello che viene raccontato sul settimanale Giallo. È tutto vero. E soprattutto è tutto ancora aperto. A confermare l'accaduto è Angela Taccia, legale del 41enne amico del fratello di Chiara Poggi, la ragazza uccisa a Garlasco il 13 agosto del 2007. «La precedente acquisizione del 4 marzo potrebbe essere compromessa da problemi tecnici legati all’uso del laser e dello scanner», ha spiegato l’avvocata, facendo capire che, dopo quasi vent’anni, la macchina della giustizia ha ancora bisogno di tornare all’analogico per cercare risposte digitali. Così, per togliere ogni alibi agli errori e ogni dubbio alle interpretazioni, Andrea si è sottoposto a un nuovo rilevamento, stavolta con il vecchio metodo dell’inchiostro e del cartoncino. Una scena d’altri tempi, ma che potrebbe fare la differenza.


Sempio, già più volte tirato in ballo nel caso Poggi, continua a collaborare e a professare la propria estraneità. La sua impronta – o meglio, la sua eventuale assenza – potrebbe diventare cruciale nei nuovi accertamenti dell’incidente probatorio. La storia di Garlasco è un puzzle ancora incompleto. Le impronte digitali sono state una falla sin dall'inizio: Chiara è stata riesumata solo perché, incredibilmente, nessuno le aveva mai rilevato le impronte. Poi c'è il giallo delle impronte sulla porta della taverna di casa Poggi, rilevate dai RIS di Parma: non appartengono ad Alberto Stasi, all’epoca fidanzato della vittima e già processato per l’omicidio, né ai familiari, né ai soccorritori. Di chi sono allora quelle impronte? E perché, dopo quasi due decenni, siamo ancora qui a chiedercelo?

