Il giorno dopo l’omicidio di Chiara Poggi, le gemelle Paola e Stefania Cappa vanno in tv. Non una scelta da poco, visto che la cugina è stata massacrata nella villetta di famiglia a Garlasco appena ventiquattro ore prima. Eppure, parlano. Parlano tanto. Troppo, forse? A dirlo oggi è Gianluca Spina, ex poliziotto ed esperto di comunicazione non verbale, in un’analisi pubblicata dal settimanale Giallo diretto da Albina Perri. “Stefania è molto agitata, quasi logorroica. A distanza di poche ore ha la presunzione di spiegare cosa fosse successo alla cugina, circoscrivendo anche lo spazio temporale in cui il delitto sarebbe stato compiuto, addebitando l’omicidio a un rom introdottosi in casa”. È da qui che parte l’analisi: quella di un corpo che smentisce la bocca. Quando Stefania parla, succede qualcosa di anomalo. Spina nota movimenti involontari, dettagli che in linguaggio non verbale indicano incongruenza, costruzione, difesa. Il primo segnale è la spalla sinistra che sale, gesto che, spiegano gli esperti, emerge spesso quando c’è qualcosa che non torna nel racconto. E capita più volte, proprio quando Stefania parla delle sue ultime interazioni con Chiara. Alla domanda “Quando l’hai vista l’ultima volta?”, risponde:“Io sabato”.


Una frase semplice, ma accompagnata da occhi chiusi, come se il cervello si sforzasse di rielaborare o trattenere qualcosa. E subito dopo labbra serrate, segnale classico, spiega Spina, di chi vuole chiudere la comunicazione e impedire che “esca altro”. “Come stava Chiara?” “Stava benissimo”, risponde Stefania, ma nega con la testa. Un classico: quando il corpo smentisce le parole. Poi arriva la frase più strana: “Eravamo d’accordo di vederci anche ieri pomeriggio alle quattro...”. Tanti dettagli, troppi. Una ricostruzione minuziosa che, secondo l’esperto, non serve a chiarire ma a spostare l’attenzione. “Chi ha bisogno di specificare tutti questi dettagli in un racconto? Di solito è tipico di chi ha interesse a portare la verità altrove”, scrive Spina. E c’è anche un passaggio su una telefonata, “domenica non ci siamo viste, ma ci siamo sentite telefonicamente...”, di cui però non esisterebbe traccia. Anche lì, di nuovo, spalla sinistra che sale. Una linea che si ripete. L’analisi si sposta poi su Paola, l’altra cugina. Lei piange. Le uniche lacrime vere viste, secondo Spina, in tutta questa storia. Spuntano quando racconta che il sabato prima aveva tentato il suicidio, salvata dalla famiglia. E il giorno dopo Chiara moriva. “Perché legare questo evento alla morte di Chiara?”, si chiede Spina. È un nodo narrativo e simbolico fortissimo: senso di colpa, sovrapposizione di destini, o qualcos’altro? Di certo, l’intervista rilasciata il 14 agosto 2007, e oggi riesaminata da chi studia il linguaggio del corpo, fa più rumore ora che allora.
