Angela Taccia, penalista milanese e volto difensivo di Andrea Sempio nel rinnovato caso del delitto di Garlasco, ha scritto su Instagram: “Guerra dura senza paura” e “CPP we love you”. Lo ha fatto dopo che il suo assistito non si è presentato all’interrogatorio, contestando la nullità dell’invito a comparire. Un post privato, ma dal tono acceso, finito dritto sotto i riflettori. E ora è l’Ordine degli Avvocati di Milano a intervenire, con un comunicato secco come uno schiaffo: “Riservatezza, sobrietà e decoro”. Una nota ufficiale diffusa il 23 maggio richiama tutti i legali, e implicitamente Taccia, al rispetto del codice deontologico. “Il nostro Codice impone all’avvocato un comportamento sobrio e misurato, anche sui social, a tutela del decoro e della dignità dell’avvocatura”. Il riferimento è chiaro, anche se non nominativo: vicende come l’omicidio di Garlasco — tornato sotto i riflettori con nuovi approfondimenti e piste — impongono “discrezione e rispetto per le vittime”. E non, per capirci, toni da campo di battaglia.
Taccia però non indietreggia. In un’intervista precedente al comunicato, rivendica libertà d’espressione e spirito rock: “Mi criticano perché sono andata in Procura in jeans e felpa dei Negrita. Ma io faccio il mio lavoro. Se non piaci alle persone, va bene. È quando non piaci ai cani che devi preoccuparti”. Poi attacca: “Non dichiaro guerra alla Procura, ma professionalmente è guerra. Le indagini sono anomale, e io sono libera di dirlo”.


Una dichiarazione che va oltre la felpa e arriva al cuore del caso: secondo Taccia, qualcosa non torna. “Ho il sospetto che l’indagine sia molto debole e che quindi stiano cercando di creare il mostro mediatico. Perché se fosse forte, Sempio sarebbe già stato arrestato”. Il “mostro”, parola pesante. Come lo è l’impronta che incastrerebbe il suo assistito: una traccia lungo la parete delle scale di casa Poggi, quella che porta al locale degli attrezzi. Taccia minimizza: “È una consulenza tecnica di parte. Verrà accertata in contraddittorio. Anche noi potremmo nominare un consulente dattiloscopico”.
L’impronta però c’è. E anche secondo Sempio era lì per una ragione: “Frequentava quella casa, tranne la camera dei signori Poggi. Quella scala la usava con Marco (Poggi, ndr) per andare in cantina. Mi pare normale”. A provare a spegnere il fuoco ci pensa l’altro legale di Sempio, l’avvocato 73enne Massimo Lovati, che al Corriere dice: “È un circo. State facendo il processo alla mia giovane collega, poverina. Ha scritto una frase che non sta né in cielo né in terra, avete ragione. Le è sfuggita. La chiamerei similitudine, un’enfasi. Cicerone era maestro di queste cose”. Dal canto suo, l’Ordine frena ma non punisce. Nessun procedimento disciplinare al momento, ma la linea è tracciata: “Ogni forma di protagonismo o spettacolarizzazione mediatica è inopportuna e contraria ai valori della professione”, ricorda il presidente Antonino La Lumia. L’avvocato deve proteggere i diritti, non trasformarsi in personaggio. Ma in un’Italia dove il processo si fa anche su Instagram, forse è troppo tardi per riscoprire il silenzio.

