Il maxi incidente probatorio riapre il caso: si cercano tracce in tutto, anche nel tappetino insanguinato. Dopo anni, tornano in scena impronte dimenticate e oggetti considerati inutili. Nel dubbio, la verità si cerca ovunque. Pure nel sacchetto dei cereali…
Una manciata di cucchiaini sporchi, vasetti di Fruttolo impilati, un tappetino intriso di sangue e impronte dimenticate per quasi vent’anni. È con questi scarti di vita quotidiana — e di morte — che la giustizia prova a riscrivere il cold case di Garlasco. Dopo la condanna definitiva di Alberto Stasi, ora sotto i riflettori c’è Andrea Sempio, l’amico del fratello di Chiara Poggi finito nel tritacarne mediatico e investigativo per via di un aplotipo Y trovato sotto le unghie della vittima. Ma il Dna non è una firma. E le prove, come la verità, vanno cercate nei dettagli. È infatti iniziato il maxi incidente probatorio sui reperti mai analizzati della villetta di via Pascoli. Si lavora nei laboratori del Fatebenefratelli di Milano, sotto la guida dei periti Denise Albani e Domenico Marchigiani nominati dal Gip Guarlaschelli. Sul tavolo, tutto quello che non è mai stato guardato davvero: impronte, tessuti, oggetti dalla pattumiera. Inclusi i due vasetti di Fruttolo e un brick di Estathé. Il contenuto? Rifiuti. Ma forse anche Dna. Sui materiali raccolti verranno eseguite analisi genetiche avanzate. Primo tra tutti: il Dna trovato sotto le unghie di Chiara. Per la Procura, quel profilo Y maschile corrisponde a Sempio. Ma i consulenti della famiglia Poggi e della difesa non sono d’accordo: “Non è attribuibile”. E c’è pure un altro aplotipo ignoto che sarà confrontato con i Dna di amici, familiari e operatori entrati in scena dopo l’omicidio.


L’avvocato di Stasi, Giada Bocellari, e i consulenti Garofano e Redaelli confermano: i reperti nella spazzatura di casa Poggi sono conservati bene, nonostante siano stati sequestrati otto mesi dopo il delitto. «All’epoca si disse: l’assassino non fa colazione prima di uccidere. Ma chi lo ha deciso?» chiosa sarcastico l’ex generale Garofano. Nessuno ha risposte. Ma adesso si cerca di capire chi ha toccato quei cucchiaini. Difficile, dice Capra, genetista dei Poggi, “a meno che non avesse una lingua da alieno”. Intanto si torna a parlare anche delle impronte. Soprattutto la numero 10, rilevata sulla porta di uscita ma mai analizzata. Niente sangue, ma forse tracce di sudore o saliva da estrarre con trattamento termico. C’è poi l’impronta 33, mai entrata nell’incidente probatorio ma fotografata: corrisponderebbe a Sempio in 15 minuzie. Adesso verrà finalmente analizzata. Nessuna certezza, solo pezzi di puzzle da rimettere insieme. E novanta giorni — prorogabili — per provare a farlo. Le prime risposte potrebbero arrivare presto. Intanto, come riportato dal settimanale Giallo, si cerca ancora sangue sotto la cornetta del telefono. Un altro schizzo. Un’altra possibilità. Perché se la scienza non basta, forse sarà la pazienza a fare il resto. Poi toccherà al corpo. O almeno a quel che ne resta nei laboratori. Un frammento minuscolo del muscolo di Chiara Poggi — conservato come un segreto troppo a lungo — sarà finalmente analizzato. E poi c’è lui: il tappetino del bagno. Un pezzetto soltanto, ma basta a raccontare l’orrore. Perché lì sopra c’è l’orma insanguinata di chi quella mattina è entrato nella villetta di via Pascoli. E non è uscito da innocente.
