Il settimanale Giallo diretto da Albina Perri ne ricostruisce i dettagli, perché forse Stasi non era solo. O forse non c’era proprio…
Una ragazza massacrata in casa sua, un fidanzato condannato, e un incubo giudiziario che non smette di rigirarsi su se stesso. A quei 18 anni dall’omicidio di Chiara Poggi, tornano sul tavolo le vecchie impronte dimenticate e un’ipotesi: forse non è stato solo Alberto Stasi, o forse non è stato affatto lui. La nuova inchiesta della Procura di Pavia rilancia una pista già battuta, e scartata, anni fa: Andrea Sempio e ignoti, un possibile delitto commesso in concorso. Lo spunto non è nuovo. Sta nero su bianco in una perizia del 2017, lunga 144 pagine e firmata dal professor Francesco Maria Avato, già direttore di Medicina legale a Ferrara, e dal genetista Matteo Fabbri. "Chi scrive ritiene, sulla base dei rilievi e del peso della ragazza, che il trasporto del corpo richiedesse l’attività di almeno due persone. È da supporre che una persona sostenesse gli arti inferiori e un’altra provvedesse a sollevare il tronco". Secondo Avato, Chiara non poteva essere spostata da sola giù per quelle scale. E nemmeno uccisa da una sola mano. Lo dicono le ferite, lo dice la scena del crimine. Ma soprattutto lo dicono le impronte. Nel pavimento della villetta di Garlasco, accanto a quelle ormai note delle scarpe a pallini, c’erano altre impronte, ignorate nei primi processi. Tre nell’ingresso, due nel bagno al piano terra, una nel corridoio, altre due nella zona “porta garage”. Tutte di scarpe diverse da quelle di Stasi. Nessuna attribuibile ai carabinieri, né al personale del 118.


“Tali impronte attestano attività di calpestio non comunicato”, scrivono Avato e Fabbri. “Non sono riferibili all’attuale imputato Stasi, né agli agenti di polizia giudiziaria, né ai soccorritori”. E poi c’è la mano nella pozza di sangue, alla base delle scale. Anche quella non è mai stata identificata. Nessun match, nessun nome. Soltanto presenze fantasma in una scena del crimine ufficialmente già decisa, come racconta il settimanale Giallo diretto da Albina Perri. Non è solo il trasporto del corpo a far pensare a più persone. C’è anche il tipo di lesioni. Il medico legale Marco Ballardini, che fece l’autopsia nel 2007, parlò di ferite da punta e taglio, e anche di colpi inferti con un oggetto contundente. “Ove non si voglia ipotizzare l’impiego di più strumenti, l’arma del delitto dovrebbe presentare peculiarità particolari”, scriveva Ballardini. Infine ci sono i profili genetici. Isolati almeno due aplotipi Y maschili sconosciuti, mai associati a Stasi. E mai associati a nessun altro. Nel 2020 i carabinieri del Nucleo Investigativo di Milano, sotto la guida del colonnello Antonio Coppola, scrivono in un’informativa: “Fermi restando gli elementi a carico di Stasi, bisognerebbe prendere in considerazione quantomeno l’ipotesi di un correo”. Un altro? O forse qualcuno completamente diverso?
