Tra ricerche online inquietanti e confidenze mai approfondite, si sta iniziando a intravedere una pista ignorata. Una cugina, Paola, con un trauma taciuto, verbali tagliati e ombre pesanti. Ora, con una nuova inchiesta, la verità potrebbe avere ancora una possibilità. Su Giallo in edicola…
Chiara Poggi è morta il 13 agosto 2007, massacrata nella sua villetta di Garlasco, in pieno giorno, senza che nessuno, ancora oggi, possa dire con certezza perché. Il suo volto tumefatto racconta molto più di un’aggressione: urla una rabbia antica, covata, esplosa con ferocia chirurgica. Non c’era passione, ma odio. Non un raptus, ma una detonazione. Il punto è sempre stato lì, sotto gli occhi di tutti: il movente. O meglio, l’assenza di un movente. Il settimanale Giallo si è concentrato su quella chiave che potrebbe spiegare, almeno in parte, l’indicibile. E invece al tempo si preferì ignorare ciò che Chiara cercava. Letteralmente: cercava. Sul suo computer e su una chiavetta Usb, i carabinieri trovarono ricerche inquietanti. Una cartella sui “casi di morte sospetta”, un documento intitolato “anoressia”. Ma soprattutto tre file: Pedofilia 1, 2, 3. Perché? Chiara non era un’appassionata di true crime. Stava indagando su qualcosa. Ma cosa? La pista sfiorata – e subito archiviata – porta alla cugina, Paola Cappa. Quel 15 agosto, Paola racconta ai carabinieri di un riavvicinamento con Chiara, dopo anni di silenzi. Di confidenze scambiate in ospedale, dopo una caduta in bici. E di una sensazione: che Chiara potesse essere stata uccisa da qualcuno che aveva respinto, qualcuno con un’ossessione malata. Lo dice lei stessa, spiegando che Chiara avrebbe potuto ricevere avance non gradite da colleghi di lavoro.


Nulla di concreto, ma un sospetto che ha radici profonde. Paola, da bambina, era stata molestata. Lo rivela solo da adulta, al suo ex fidanzato, che nega di conoscere l’identità del pedofilo. Ma il verbale di quell’interrogatorio, dettaglio mai chiarito, risulta tagliato. Chiara sapeva? È possibile che Paola le avesse confidato qualcosa? E che lei, turbata, avesse iniziato una personale ricerca? O forse aveva scoperto altro, qualcosa di troppo grande per essere gestito in silenzio? Nel dubbio, all’epoca, si fece una scelta: ignorare. Quei file vennero ricondotti a un interesse improvviso verso le “devianze” del fidanzato. Una forzatura comoda, che mise il coperchio su un vaso che forse meritava di essere scoperchiato. Oggi, mentre la nuova inchiesta prova a fare ordine, resta una domanda sospesa: se il movente è la chiave, siamo davvero sicuri di aver cercato nel posto giusto?

