Nel giallo senza pace di Garlasco, torna a galla una telefonata dimenticata. È il 13 agosto 2007, Chiara Poggi è morta da poco più di un’ora. Alle 10:34, sul telefono fisso delle gemelle Cappa squilla una chiamata in entrata. Trentaquattro secondi, nessuna memoria. Stefania dirà: “Forse ho risposto e chiuso subito. Non ricordo chi potesse essere”. Il numero è intestato a Farina Srl, azienda specializzata anche in tutori ortopedici. E Paola, in quel periodo, indossa proprio un tutore, dopo un intervento al ginocchio e un tentato suicidio. Ma il dispositivo verrà sequestrato solo sei mesi dopo. La telefonata torna al centro delle indagini ora che nella roggia di Tromello sono stati trovati oggetti metallici compatibili con dispositivi medici. Stefania e Paola non sono indagate, ma la procura ha chiesto il loro Dna. Intanto riemerge un messaggio vocale inquietante: Paola racconta di aver portato un gesso “dalla coscia alla caviglia”, poi rimosso per aiutare gli inquirenti e rimesso d’urgenza. “Nessuno lo sa, ma quel gesto ha avuto conseguenze”, dice.


Ma non è tutto. Stefania dichiara di aver telefonato a Chiara il giorno prima del delitto, il 12 agosto. Tre versioni simili, nessuna confermata dai tabulati. Una telefonata fantasma. Come i rapporti tra Chiara e le cugine. Maria Ventura, madre di un’amica di Chiara, racconta ai carabinieri: “Le gemelle erano invidiose. Laurea, fidanzato, il suo stile di vita. Durante la festa di laurea davano l’impressione di corteggiare Alberto. Chiara era infastidita. Diceva che quelle erano capaci di tutto”. Una frase che oggi pesa. Alberto Stasi, il fidanzato, è stato assolto in primo grado, poi condannato in appello. Ma intorno a lui ruotavano molte tensioni. Le gemelle non frequentavano casa Poggi, se non a Natale o Pasqua. Ma Chiara – diceva l’amica – le trattava comunque con gentilezza, per rispetto del padre, che adorava la sorella. L’apparenza, anche nei rancori, era tutto. E forse lo è ancora.

