Nel giallo del delitto di Garlasco, uno dei nodi mai sciolti riguarda un oggetto apparentemente innocuo: il computer di Alberto Stasi. Un dettaglio che in un’altra storia sarebbe solo marginale, qui diventa ingombrante, torbido, compromesso. Come le indagini che ci ruotano attorno. Siamo nel 2007. Chiara Poggi viene trovata morta sulle scale della villetta di famiglia. Il fidanzato, Alberto, è il primo a lanciare l’allarme. Da lì parte l’indagine e con lei un rosario infinito di errori, omissioni e zone d’ombra. Una delle più pesanti? Il trattamento del computer di Stasi da parte dei carabinieri. “Non era integro, l’attività fatta dai carabinieri ne aveva stravolto il contenuto”, hanno dichiarato a Quarto Grado Roberto Porta e Daniele Occhetti, i due periti informatici chiamati a esaminare il pc per conto del giudice di primo grado. Secondo loro, i militari hanno commesso una sequenza di operazioni che in ambito forense sarebbero da manuale. Manuale degli orrori, però. Tipo: svuotare il cestino. “Sono state compiute operazioni poco ortodosse che hanno cancellato informazioni cruciali per datare i file e ricostruire i movimenti sul computer”, spiegano i due. Tradotto: è come se qualcuno avesse pasticciato su una scena del crimine digitale.


E proprio lì, su quel computer, si ipotizzò potesse nascondersi il movente del delitto. Gli inquirenti parlarono di immagini pornografiche “particolari”, roba che – secondo la criminologa Roberta Bruzzone – poteva essere “di natura tale da non poter essere facilmente digerita”. Le avrebbe viste Chiara? Forse la sera prima di morire, quando Stasi lasciò il pc acceso mentre usciva un attimo per controllare il cane.
Una traccia potente, morbosa, che affascinò l’opinione pubblica. Ma non regge alla prova tecnica. Sempre secondo Porta e Occhetti, quelle immagini erano nascoste con cura: archiviate in una cartella chiamata “militare”, sepolta dentro un’altra chiamata “Nuova cartella”. Nulla di immediatamente visibile, nulla che potesse finire accidentalmente sotto gli occhi di Chiara. Lei, però, nel pc c’era entrata eccome: ha copiato più di 200 foto di coppia su una chiavetta usb, ha aperto cartelle, curiosato tra file personali. Ma si è fermata prima del livello proibito. Il risultato? Un’indagine infangata fin dal principio, tra negligenze informatiche e ipotesi mai davvero confermate. E una domanda che resta lì, ancora oggi, come un’eco: Chiara ha davvero scoperto qualcosa che non doveva vedere? O è stata l’ennesima falsa pista, utile solo ad aggiungere caos?

