Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, è intervenuto in occasione dell’evento “Industria e Università, insieme per l’innovazione” e ha sollevato una questione delicata, spesso evitata nel dibattito pubblico: quella delle università telematiche. Lo ha fatto con parole forti, tracciando un solco netto tra due mondi - quello della formazione accademica “tradizionale” e quello dell’istruzione online - e mettendo in discussione non solo la qualità della formazione offerta, ma anche l’equità dell’intero sistema universitario italiano. Il discorso tocca una verità che in molti, anche tra studenti e docenti, conoscono ma raramente esplicitano. In Italia, piaccia o no, esistono università di serie A e università di serie B. La Luiss, ateneo privato romano di proprietà proprio di Confindustria, è considerata da molti un’università d’eccellenza. Ma è anche una realtà d’élite, con costi di accesso molto elevati che non tutti possono permettersi. Dall’altra parte, anche le università telematiche - nate con l’intento di democratizzare l’accesso alla formazione universitaria -non sono esenti da barriere economiche: spesso i costi annuali non sono affatto contenuti e i servizi offerti sono tutt’altro che uniformi. Orsini ha dichiarato: “Farò una grande lotta affinché vengano limitate e regolate“, riferendosi proprio alle università online. Ha poi aggiunto: “Laddove c’è un rapporto di un docente a 385 studenti formati da un video, non si tiene in considerazione l’aspetto umano”, sottolineando il confronto con le università tradizionali: “nelle nostre università dove il rapporto è di 1 a 35, al massimo 1 a 40”. A suo avviso, il problema non è solo didattico, ma anche culturale e meritocratico. Ha affermato: “Credo che tutti quelli che interloquiscono con un ragazzo uscito dall’università debbano capire da dove esce. Lavoriamo insieme su questa cosa, in maniera seria, perché lo dobbiamo a tutti i ragazzi, che devono sapere che c’è una differenza e deve essere rimarcata”. Parole che hanno avuto come destinataria anche la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, a cui si è rivolto direttamente con un auspicio chiaro: “Auguro che la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, metta occhio in modo rapido su questa ingiustizia”. Una presa di posizione netta, che però - va detto - non è priva di interessi, considerando che Confindustria gestisce un ateneo privato considerato tra i più prestigiosi del Paese. Eppure, al di là del conflitto d’interessi implicito, alcune delle critiche sollevate non sono infondate. Perché? Perché il sistema delle università telematiche, così com’è oggi, presenta numerose criticità. È un dato di fatto che in molte di esse la formazione avvenga tramite video-lezioni asincrone, facilmente ignorabili o skippabili. La qualità dell’interazione didattica è molto variabile: in alcuni casi si riduce alla visione passiva di contenuti pre-registrati. E per quanto riguarda gli esami, sono ormai ben note, grazie anche alle numerose inchieste giornalistiche, le falle del sistema. È emerso che alcuni studenti, dopo aver pagato quote d’iscrizione tutt’altro che irrisorie, riescono a sostenere gli esami senza alcun controllo reale: c’è chi copia liberamente da casa e chi si affida ad aiuti esterni direttamente in sede d’esame. In parole povere: un assistente o un dipendente della sede svolge l'esame al posto loro, copiando a loro volta da degli schemi pre-compilati. Nel frattempo, questi studenti, una volta conseguita la laurea, possono partecipare ai concorsi pubblici, alle selezioni aziendali o acquistare master (spesso dagli stessi enti che li hanno formati) per accedere a punteggi aggiuntivi e scalare le graduatorie, allo stesso livello di chi ha frequentato un’università pubblica in presenza, sostenendo esami orali e scritti tradizionali, con percorsi molto più rigidi e formativi.

È un sistema che, in alcuni casi, appare ingiusto. Ingiusto per chi frequenta le lezioni ogni giorno, studia duramente per superare esami complessi e segue un percorso universitario completo, fatto non solo di contenuti teorici, ma anche di esperienze, relazioni, dibattiti e confronto diretto con i docenti. Non sorprende quindi che molte persone vedano con crescente frustrazione questa equiparazione tra titoli ottenuti con modalità così differenti. A replicare alle dichiarazioni di Orsini è intervenuta United, l’associazione che rappresenta le università telematiche italiane, ad eccezione di Unicusano. In una nota ufficiale, l’associazione ha espresso “sorpresa e sgomento” per le parole del presidente di Confindustria, sottolineando il valore delle università online nel sistema educativo italiano. Secondo United, queste realtà “oggi, in un Paese penultimo in Europa per numero di laureati, intercettano le esigenze di oltre 250.000 studenti, ossia il 13 per cento del totale degli studenti universitari italiani”. Poi aggiunge: “non si può ignorare che oltre il 70 per cento dei nostri studenti è composto da lavoratori che non avrebbero alcuna possibilità di accedere all’università tradizionale”. Non manca, poi, una frecciata diretta proprio a Orsini e alla doppia faccia del suo intervento: “Dispiace che queste frasi provengano dal presidente dell’associazione italiana degli imprenditori - proprietaria dell’Università Luiss Guido Carli - che tante volte ha sottolineato la centralità della formazione continua nell’odierno mercato del lavoro”. Infine, viene respinta l’accusa più ricorrente: quella di una formazione disumanizzante e distante. “Parlare di ‘assenza di rapporto umano’, senza conoscere le dinamiche e i modelli didattici della formazione online, significa sminuire il percorso di migliaia di giovani che ogni giorno scelgono un’istruzione flessibile, di qualità e compatibile con la propria vita professionale e personale”, afferma l’associazione, aggiungendo che “le università telematiche offrono tutoraggio personalizzato, interazioni in tempo reale, ambienti collaborativi e canali di confronto continui con docenti e colleghi”. Certo, non si può generalizzare. Alcuni atenei telematici stanno cercando davvero di costruire un’offerta formativa solida, moderna, accessibile. Ma chi conosce da vicino certe pratiche adottate da altri istituti sa bene che c’è ancora molta strada da fare per garantire standard adeguati e trasparenza. Servirebbe una regolamentazione chiara, che valorizzi le buone pratiche e corregga le storture, senza alimentare guerre ideologiche. Ma una cosa è certa: non possiamo permettere che titoli di studio ottenuti in modo superficiale vengano equiparati a quelli conseguiti con fatica, impegno e reale formazione. Non per spirito elitario, ma per rispetto verso il sapere, verso chi lo insegna, e verso chi, ogni giorno, lo conquista con sacrificio.
