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La verità? Altro che omofobo di 87 anni, Papa Francesco dicendo fr*ciaggine dimostra di essere amico dei fr*ci, perché solo chi è gay friendly può usare questo termine...

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

29 maggio 2024

La verità? Altro che omofobo di 87 anni, Papa Francesco dicendo fr*ciaggine dimostra di essere amico dei fr*ci, perché solo chi è gay friendly può usare questo termine...
Jorge Mario Bergoglio è il Papa che disse la frase: “Chi sono io per giudicare un gay?". Ed è questa l’essenza del gay-friendly: non giudicare. Riguardo quello che Bergoglio ha detto nei giorni scorsi ricordiamo che il Pontefice si trovava a un Sinodo, e che non si è trattato di un discorso sull’omosessualità ma semplici consigli da usare nella Chiesa

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

Ma davvero Papa Francesco è stato omofobo? E se invece non fosse stato altro che estremamente, persino ingenuamente, gay friendly? A dimostrare la sua gayfriendlità - o per dirla usando le sue parole, la sua amicizia, la sua assenza di “giudizio” nei confronti della “frociaggine” - sono state le risate dei vescovi riuniti in Sinodo. Arriviamo a immaginare persino i bonari colpi di gomito. Non è stato un Papa tronituante contro chissà quale cospirazione demoniaca e anticristica. Jorge Mario Bergoglio è il Papa che disse: “Chi sono io per giudicare un gay”. Ed è questa l’essenza del gay-friendly: non giudicare. Papa Francesco, nella sua veste ufficiale, un Sinodo, stava semplicemente gestendo un problema: “E mi raccomando non fate troppo i froci” è come se avesse detto. E non è essere gay-friendly questo?

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Chiunque si sarà trovato nella situazione di andare a casa di amici omosessuali, trovarli tutti beatamente accoppiati, senza neanche l’ombra di una turbofregna ed esclamare: “C’è troppa frociaggine in giro” senza per questo essere tacciato di omofobia. Meno male che i puppi cucinano bene.

Le parole sprigionano il loro significato solo a partire dal contesto. Esaminiamole nella vulgata che ha dato il via all’affaire frou-frou, ossia quella di Dagospia, secondo cui il Papa, durante il Sinodo del 20 maggio, avrebbe pronunciato, dinanzi ai vescovi, le due frasi pazzerelle e un po’ scavallate. La prima: “Nella Chiesa c’è troppa aria di frociaggine”. Che ha detto? Ha detto che nella Chiesa, gli omosessuali, stanno a fare troppo i froci. Come sanno coloro che frequentano la comunità LBGTQ+, omosessualità e frocità sono due cose diverse. Se, per così dire, l’omosessualità è la mente, la froceria è il braccio. L’omosessualità, per usare termini “canonici”, è spirituale, la puppignità è temporale. “Usciamo stasera?”, “No, tu sei etero, io stasera vado in dark room a fare il puppo”. Non avete mai sentito frasi del genere? Mi sa che siete di quelli che avete “molti amici gay” ma non li frequentate molto, non ci “parlate”. Io, per esempio, ho molti nemici gay. E se volete saperla proprio tutta, anche i gay hanno molti nemici gay.

E’ un po’ come se Papa Francesco avesse detto ai vescovi: “D’accordo ascoltare Raffaella Carrà in seminario. Ma montare il cubo da cubista in biblioteca magari no”. Voi date altra interpretazione alla frase “C’è troppa frociaggine in giro”?

Nella sua veste papale Bergoglio, lo ripetiamo, è importante, ha detto “troppa frociaggine” non “troppa omosessualità”. Mi sembra sia dottrina accolta dalla Chiesa che si possa essere perfettamente in regola con il cattolicesimo essendo omosessuali ma non praticanti. Cioè dire: sei omosessuale? Ok. Ti spalmi d’olio e glitter in sagrestia? Alt. Si potrebbe pensare che depilato e in tanga tu voglia sedurre qualcuno, quindi, scendi dal cubo, fatti una doccia, sìi omosessuale quanto ti pare, ma non spargiamo frociaggine, grazie. 
Era un Sinodo, non un Gay Pride. E se, giustamente, i gay hanno tutto il diritto di manifestare il proprio orgoglio come va a loro, con tutte le esplosioni di entusiamo e colori e gonne di banane, così, altro luogo altre etichette, la Chiesa ha il diritto di mettere limiti ai balletti coreografati con lancio finale di stelle filanti in seminario.
Non si è trattato di un discorso sull’orientamento sessuale, quello di Bergoglio, ma semplici consigli di buona creanza da usare nella Chiesa. Sei omosessuale e – come un qualsiasi eterosessuale del resto – sei caduto nella tentazione della carne? C’è il perdono. Vuoi venire in seminario a fare i trenini con la musica dei Village People nei dormitori? Alt.

D’altronde è la stessa comunità LGBTQ+ a criticare apertamente l’omosessualità praticata nella Chiesa che, così facendo, si veste di una doppia morale. Natascia Maesi, presidente nazionale Arcigay ha dichiarato: “Questa situazione è talmente surreale che non avrebbe senso agire contro il Papa”. Perché è vero che termini come “frociaggine” o “checche”, se pronunciate da persone omofobe (che sono spesso “represse”), portano in sé una carica di odio - assunto sul quale si fondava il “ddl Zan” -, ma così come all’uomo di colore è consentito dire “negro” allo stesso modo all’omosessuale dichiarato è consentito dire frocio: non sto, e non mi permetterei mai, parlando dell’orientamento sessuale del Papa – me ne curo poco, per rispetto, anche di quello del mio tabaccaio, per dire – sto soltanto sostenendo che le parole del Papa sono state tutt’altro che omofobe. Esageratamente gay-friendly tutt’al più.

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Jose Mario Bergoglio aka Papa Francesco

A Catania, luogo in cui il movimento della liberazione omosessuale è stato magnifico e luccicante (una città in cui negli anni Settanta si facevano le ronde a piazza Grenoble, luogo di battuage, per picchiare gli omosessuali), grazie a Giovanni Caloggero e Dario De Felice, la mascotte del Gay Pride è una pazza polpo di peluche con diadema sbrilluccicoso chiamata: “Pippo il Puppo” (ci sarebbe da aprire un capitolo a parte sull’uso del femminile tra i gay d’antan e il tristissimo “schwa”).
Ove Bergoglio avesse usato anche la parola “checche”, il termine non farebbe che rendere verosimile il ragionamento che qui si sta facendo. Chi non conosce la differenza tra un gay e una checca non ha mai visto quel capolavoro intitolato “Il Vizietto” (adattamento cinematografico della commedia “La Cage aux folles”): Ugo Tognazzi interpretava Renato Baldi (dal polso morbido ma dall’allure virile) indossava splendidi completi bianchi quasi da tombeur de femme, mentre il suo compagno (interpretato da Michelle Searrault), una scavallatissima Albin, stella del cabaret en travesti con il nome di Zaza Napoli, era un delirio di tulle e organze, piume, gridolini, mossettine, crolli emotivi e joie de vivre.

Ecco, quando Papa Francesco dice “magari le checche in seminario no” è molto probabile che intendesse: “Renato Baldi, se proprio ci tiene, lo potete ammettere. Ma Albin no, dai Albin no, che mi si mette a fare Zaza Napoli durante la messa facendo roteare l’aspersorio”. Non mi sembra un atteggiamento omofobo: Il Papa stava semplicemento facendo il suo mestiere di Papa, capo di una Chiesa che separa lo spirito dalla carne e che non approva gli eccessi (non è che in confessione – istituzione sulla quale devo finire di riflettere – se a un prete gli scappa “e figlio mio, te ne fai troppe di pippe però”, siamo di fronte a un prete “pippafobo”, è anzi una maniera “friendly” per dire: “non esagerare”). Il Papa, in teoria, dovrebbe essere una persona “friendly” per missione, per compito divino, Bergoglio, mi sembra, lo sia anche in pratica. Forse troppo. Chi ha fatto trapelare la notizia, probabilmente, è chi ha in odio gli omosessuali e lo stesso Bergoglio, il Papa Francesco più gay-friendly che la Chiesa abbia mai espresso.

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