Inutile dire che con la pandemia, al contrario di ciò che dice il Ministro Brunetta, chi vuole lavorare lavora, lo può fare ovunque, ed è bellissimo. In questi mesi mi è capitato di farlo davanti Castel dell’Ovo a Napoli, su un attico con vista Tour Eiffel a Parigi, nel bel mezzo della raccolta dell’oliva nelle colline marchigiane. Ah dimenticavo: anche nel cuore delle Alpi francesi. Questo perché un mercoledì mattina, ero direttissimo in Stazione Centrale a Milano per prendere il FrecciaRossa 9292 per Parigi. Orario della partenza 6:25. Davanti a me, un viaggio che sarebbe terminato alle 13.22 alla corrispettiva Centrale parigina, la Gare de Lyon.
Partenza:
In una Centrale pressappoco deserta, non sono l’unico passeggero sonnacchioso. La fila per il treno direzione Parigi è lunga e, sulla banchina, ostacola l’accesso a quelli che di fianco devono prendere l’altro treno. Questo perché, per accedere alle carrozze, serve un doppio controllo: prima il check in dei documenti d’identità, poi, poco più avanti, quello del green pass da parte del personale del treno. Un po’ macchinoso devo dire, con i passeggeri degli altri treni che vengono scambiati per quelli delle carrozze parigine - il secondo check è dentro la banchina - e quindi i misunderstanding rallentano un po’ le operazioni.
Comunque, alle 6:26, si parte.
Milano è buia, così come il suo hinterland, e le prime luci che si vede dalla carrozza 7, una di quelle dell’Area silenzio, è poco prima di arrivare a Torino porta Susa, unica fermata italiana del treno. Se avete visto Il castello errante di Howl vi ricorderete delle ombre che corrono lungo le pareti Shoji che tormentano la povera protagonista. La sensazione in carrozza, è un po’ la stessa, perché ogni volta che mi giro a guardare verso fuori c’è questa grossa sagoma appiccicata sul doppio vetro che indica di fare silenzio. Ma per fortuna, non ce n’è bisogno. I passeggeri infatti sono tutti silenziosi, e facendo mente locale su quanto visto in fila prima di salire, mi rendo conto che sono per la maggior parte tutti italiani. Come in qualsiasi servizio Frecciarossa, ogni tanto passa il servizio bar. E sul treno c’è di tutto: studenti che si trasferiscono a Parigi con questi giganti valigioni da trasferta, morosini che vanno a trovare il partner, qualche famiglia.
Il comfort è tale e quale a quello di un qualsiasi FrecciaRossa. Poltroncine morbide, tavolini un po’ in stile McDonald's con cestino privato e, fra un sedile e l’altro, le prese. Che sono internazionali. Inizialmente ero spaventato dalla possibilità che le prese fossero France-oriented, quindi con lo spinotto particolare a due uscite, mentre su queste, ci sono sul lato della presa anche le uscite per i caricatori italiani. Il wifi va molto bene ad eccezione di quando si attraversa il confine, con la connessione sia del cellulare che del treno che si allenta ed è, se vogliamo, l’unica parte noiosa del viaggio. Ma comunque funziona, e le gallerie non sono nemmeno così tante. Anche perché fra un caveau e un altro, lo spettacolo è fiabesco. Paesini rampicanti lungo i fianchi delle montagne alpine si intrecciano con le loro punte innevate e colpite dal sole. Qua e là monasteri à la Nome della rosa e piccole stazioni tristi.
La prima fermata francese è Modane, piccolo paesino conosciuto per lo più per i buen retiro sciistici di piemontesi e francesi. E lì il treno si ferma un po’ più della stazione di Torino, perché salgono le guardie doganali. Niente controllo green pass, solo check documenti - e occhio che la patente non vale, vogliono la carta d’identità - e pattugliamento per verificare che sia tutto in ordine: niente di fastidioso, solo routine. Ovviamente non può mancare lo sbirro simpaticone di turno: “Buonghiorno eh in italiano?”, “Grazia mille”. Vabbé.
Dopo Modane, l’Orient express made in Pistoia (è lì che realizzano le carrozze) ferma a Chambery, appena dopo la catena montuosa, e le facce dei transitanti per la stazione sono un po’ più sorridenti di quelle che avevamo visto a Modane. Ci si dirige infatti verso il cuore della Francia, con road to Lyon, mentre il cielo si fa un po’ più sereno e si attraversano molti prati verdi e qualche lago. Io intanto ho iniziato a lavorare e il wi-fi si conferma ottimo anche in Francia, con connessione al Portale frecce veloce. Peccato però che non mi fossi ricordato di portare del cibo autonomamente perché da Bardonecchia in poi, cioè nel punto esatto in cui si cambia legislazione, il bar è chiuso e non si possono vendere bevande e cibo. Non ho ben capito se è proibito anche consumare - in realtà lo facevano tutti: cracker, paninozzi, Coca cola (la mattina!), biscottini vari -, ma alla fine la gente continua a dormire perché in effetti l’alzataccia è stata per quasi tutti.
Si arriva a Lione all’incirca verso le 11 di mattina. Anche stavolta il treno è fermo un po’ più tempo e salgono altri poliziotti a controllare i documenti. Iniziano a salire anche diversi francesi diretti a Parigi, così, da Lione in poi, il treno inizia ad assumere un paesaggio sonoro un po’ più internazionale fra italiano, inglese e francese. Secondo i dati di Trainline pubblicati dal Corriere della sera, la tratta da Lione a Parigi è quella più acquistata dai viaggiatori, con un riempimento delle carrozze medio dell’83% (ancora vige il limite di posti occupabili all’80%) e con Parigi prima meta scelta, con Milano seconda e poi Lione e Torino.
Il wi-fi continua a scorrere bene e anche il segnale del cellulare è buono, fra i campi e le vacche dell’Alvernia, polmone verde della Francia. Poi, piano piano, i primi palazzoni, il traffico parallelo al binario che aumenta - insieme alla fame, sono le 13.15 - e infine lo speaker che annuncia l’imminente arrivo alla Gare du Lyon. Ed è bellissimo perché appena scesi, a differenza di altre stazioni come le italiane Termini e Centrale, la metro è sul binario. Si avete capito bene: in pratica, non ci sono chilometri di scale da fare prima di entrare nella metro ma si accede direttamente dalla banchina.
Dopo un soggiorno parigino di cinque notti ho ripreso lo stesso treno per tornare a Milano. Nel viaggio ho ancora “smarkworkato” e abbiamo attraversato le stesse fermate. Approdo alla Stazione centrale di Milano - nel famoso giorno in cui era stata scoperchiata dal forte vento - alle 13.25 dopo essere partito nuovamente alle 6.22.
Allora premetto che la mia ragazza parigina aveva già testato il treno e mi aveva garantito sulla sua comodità, quindi ero un po’ prevenuto, ma dopo averlo sperimentato di persona non posso che dire che è stato un bel viaggio. Anche nello scomodo rapporto qualità-prezzo. 74 euro fra andata e ritorno (35+39) che paragonati alla ipotetica spesa di un viaggio in aereo (1 ora e 35 di volo) è più o meno conveniente. Si arriva alla stazione, nel cuore della città e si ha accesso immediato ai servizi di trasporto locali, mentre in aereo, il sistema di navette per spostarsi dall’aeroporto alla città dilata i tempi e aumenta i costi. E appunto, se devi lavorare, a differenza di aerei e aeroporti, puoi farlo comodamente.
Quindi sì, Trenitalia ha fatto un ottimo lavoro, tant’è che secondo gli ultimi dati nelle ultime settimane sono aumentati prezzo medio e domanda di biglietti per il Milano-Parigi.