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Parla il “vigile in mutande” di Sanremo: “Storia assurda, ho scritto a Carofiglio ma... Avevo ragione io, ora ho vinto la causa ed ecco cosa farò”. E sull’arresto, il risarcimento e il reintegro (rifiutato)…

  • di Lorenzo Fiorentino Lorenzo Fiorentino

29 luglio 2024

Parla il “vigile in mutande” di Sanremo: “Storia assurda, ho scritto a Carofiglio ma... Avevo ragione io, ora ho vinto la causa ed ecco cosa farò”. E sull’arresto, il risarcimento e il reintegro (rifiutato)…
“Avevo ragione io, ora ho vinto la causa ed ecco cosa farò”. Parla Alberto Muraglia, il “vigile in mutande” di Sanremo beccato dalle telecamere a timbrare con gli slip fuori dall’ufficio, e accusato (e arrestato) ingiustamente. Ora, dopo aver vinto anche l’ultimo grado di giudizio, ammette di “essersi tolto un peso dallo stomaco”, ma anche che “novanta giorni di arresti domiciliari non si possono dimenticare”. E su quel messaggio a Gianrico Carofiglio, il risarcimento e il reintegro (rifiutato)…

di Lorenzo Fiorentino Lorenzo Fiorentino

La sua storia ha dell’incredibile, e potrebbe essere il simbolo di una giustizia (forse) viziata. Alberto Muraglia, il famigerato “vigile in mutande” di Sanremo beccato dalle telecamere a timbrare il cartellino con gli slip fuori dall’ufficio nel lontano 2014, dopo “nove anni di battaglie” ha deciso di parlare in prima persona, rivelando alcuni segreti e dettagli bizzarri della sua vicenda. Ora, ha detto a Fabio Dragoni de La Verità, “dopo aver vinto anche l’ultimo grado di giudizio, mi sono tolto un peso sdallo stomaco”, e ormai, ha continuato, “me ne sono fatto una ragione”. Si tratta sicuramente di un caso giudiziario assurdo, tanto che, ha rivelato l’ex vigile, “un bravo giornalista d’inchiesta potrebbe scrivere un libro sulla mia storia e farebbe un discreto successo. Ho mandato una mail a Gianrico Carofiglio, ma non mi ha risposto”. Comunque sia, tanto per rispolverare l’increscioso fatto, Muraglia è finito al centro della cronaca per “quattro-sei timbrature in abiti succinti e hanno ipotizzato il resto. Dicendo che rubavo gli straordinari”. Tutto risale al 23 marzo 2014, “rientro dopo dodici ore di onorato servizio con la mia vespa nella zona del marcato dove ho anche l’abitazione, accanto all’ufficio anagrafe. Arrivo sul pianerottolo e trovo mia moglie […] Mi fa: ‘mica vorrai entrare in questo stato’. Mi dà un asciugamano. Mi spoglio sul pianerottolo e mi asciugo e nel frattempo timbro. Ecco il mio furto di straordinario. Ecco spiegato l’arresto”…

Alberto Muraglia
Alberto Muraglia
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Così Muraglia finisce ai domiciliari per ben ottantasei giorni, “assieme ad altre quarantuno persone. Dipendenti comunali. Con contestazioni varie”. Comunque sia, adesso, continua l’ex vigile nella sua intervista, “ho vinto anche tutti i gradi di giudizio nella causa di lavoro. A novembre la Corte di Appello ha condannato il Comune di Sanremo al reintegro e ovviamente al pagamento dovuto […] Ho rinunciato al reintegro – ha dichiarato Muraglia –. Per il resto mi hanno dato un acconto (pari a centotrenta mila euro, ndr)”, anche se è convinto di aver ricevuto meno di quanto gli spettasse. “È pura matematica – ha detto al giornalista de La Verità –. Non un’opinione. Se devi darmi otto anni di stipendio rivalutati in base al costo della vita il calcolo è semplici […] Consideri che le ferie non godute, cinquantatré settimane, devono anch’esse essere retribuite. Io non ho chiesto un risarcimento del danno biologico o di immagine – ha voluto sottolineare –. Ma l’arretrato”. Dopo aver detto no al reintegro Muraglia ha cambiato vita, e adesso lavora come “aggiustatutto”. Ma ritornando al suo arresto, con quale motivazione è finito ai domiciliari? “Fuga con moglie e tre figli la vedo complicata – commenta –. Inquinamento delle prove? […] Avrei potuto rimediare con un paio di jeans”. E infine ha anche rivelato che “subito dopo le mie dimissioni mi chiama il sindaco molto amareggiato […] Mi chiama con fare amichevole dicendosi meravigliato della mia scelta di non accettare il reintegro dopo nove anni di battaglie. Gli ho detto – continua Muraglia –: ‘Vede, caro sindaco, lei non ha fatto un errore a non chiamarmi mai una volta in questi nove anni, ma a ricorrere in Cassazione nella causa di lavoro riguardo al mio indennizzo”.

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