Si fa presto a dire partita Iva e si fa presto a dire flat tax. E ora che il governo Meloni ha intenzione con la sua prima manovra di aumentare da 65mila a 85mila la soglia di applicazione della flat tax per le partite Iva al 15% ci si può chiedere a chi convenga questa scelta e soprattutto, ora che la spinta verso gli autonomi del neo-esecutivo si è palesata, provare a rispondere al “Santo Graal” delle domande professionali italiane: è più conveniente essere lavoratori a contratto subordinato o Partite Iva? Per provare a rispondere a queste domande partiamo da un presupposto. La legge di bilancio non risolve la dicotomia, spesso trasformata dalle parti in rivalità, tra “subordinati” e “autonomi” non sanando le asimmetrie tra gli evidenti vantaggi di una parte e dell’altra. I subordinati continueranno a beneficiare di maggiori tutele previdenziali, dell’assistenza di malattia e della flessibilità in caso di perdita del posto di lavoro; le Partite Iva di una tassazione più agevole e della possibilità di potenziare maggiormente i propri ricavi con i propri sforzi individuali, ma dovranno subire rischi maggiori legati all’incertezza.
Ma con il nuovo ordinamento ci saranno platee di contribuenti che avranno un vantaggio indubbio. Tutti i lavoratori autonomi e le partite Iva con ricavi e compensi annuali maggiori degli attuali 65mila euro e non superiori a 85mila euro si vedranno applicare un’aliquota unica al 15%. In precedenza, lo ricordiamo, coloro che superavano tale soglia rientravano nel regime ordinario: Iva al 22% e aliquote Irpef secondo gli scaglioni ordinari. La platea di beneficiari, secondo le stime del Ministero dell’Economie e delle Finanze, supererà di poco le 100mila persone che risparmieranno, secondo le nostre stime, mediamente tra i 5 e i 19mila euro di contributi e tasse in attesa di vedere se con gli emendamenti ci saranno ulteriori novità. Tali guadagni saranno tali da rendere conveniente il passaggio al nuovo regime anche al netto di costi fissi come il commercialista e le spese di gestione che a quei livelli di fatturato possono arrivare a 2.500-3mila euro.
In che misura, invece, a un lavoratore dipendente converrebbe il passaggio alla partita Iva con le nuove regole? Ricordando che le nuove partite Iva hanno un regime agevolato al 5% di tassazione per i primi cinque anni e che, al contempo, il livello di deducibilità dei costi fissi che riducono la base imponibile è compreso, a seconda del codice ATECO, tra il 22% dei servizi professionali al 60% del commercio al dettaglio alimentare i casi cambiano molto. Poniamo il caso di un professionista di consulenza tributaria oggi soggetto a un coefficiente di redditività del 78%, ovvero di una deducibilità dei costi fissi del 22%. Qualora guadagnasse tra i 65 e gli 85mila euro l’apertura di una partita Iva converrebbe ampiamente. Complici tasse al 5% per i primi cinque anni e poi un regime agevolato al 15%, in caso di mancato boom dei ricavi nell’esercizio immediatamente successivo, con il massimale di 85mila euro di fatturato e un imponibile abbassato del 22%, a 66.300 euro, pagherebbe il 5% di questa quota come tassa, pari a 3.315 euro e avrebbe un surplus netto di 62.985 euro entro cui far rientrare il resto delle spese.
Appena oltre i 65mila euro, comunque, il surplus sarebbe considerevole: 48.165 euro su un fatturato di 65.001 euro. A tale livello di reddito, da dipendente avrebbe versato 21.320 euro, aliquota media del 32%, vedendosi ridurre il surplus a 43.681 euro. A 85mila euro la spesa sarebbe invece di 29.719 euro, per un netto di 55.281 euro. Il risparmio sarebbe dunque mediamente tra i 4.484 e i 7.704 euro nella nostra simulazione.
Che se ne deduce? Che quella fascia di 100mila persone favorite dalla manovra per l’innalzamento dei massimali del regime forfettario saranno le vere vincitrici di questa nuova politica assieme alla quota di professionisti, difficile da calcolare ma certamente non passabile di approssimare tale numero, che potranno giocarsi il passaggio dall’aliquota sfavorevole del lavoro dipendente a quella della Partita IVA portando nel mercato la loro professionalità già qualificate da un reddito elevato nel settore privato del lavoro dipendente. Il problema di fondo, quella della “precarietà” degli autonomi, non è stato considerato dal nuovo governo che può regalare sconti fiscali e contributivi a professionisti già affermati non mettendo in conto che ci sono centinaia di migliaia di “invisibili” il cui problema non è passare da 65 a 85mila ma, piuttosto, barcamenarsi per sfondare il lunario tra burocrazia e stritolamento fiscale.