Il Grande Fratello dell’era covid, evidentemente, dentro il Movimento Cinque Stelle non è mai finito. Sì, perché Giuseppe Conte è l’unico candidato alle elezioni che si terranno tra il 23 e il 26 ottobre per la nuova leadership del partito fondato da Beppe Grillo. Ne parlano un po’ tutti i giornali in seguito alle dimissioni di Chiara Appendino da vice-presidente del movimento. E nonostante tutto, Conte è stato l’unico a raggiungere le cinquecento firme necessarie per essere un valido candidato. Un po’ come in quelle dittature dove l’unico a correre per la posizione di capo di stato prende il 90% dei voti. E chiunque osi dire bé, purgato senza troppe chiacchiere. Firma, firma e non fare domande. E pensateci bene, scavate nella vostra memoria e domandatevi. Avete mai letto o visto un’intervista di un deputato cinquestelle che si lamentasse del proprio partito? No. Anche quelli di Fdi dicono che va tutto bene, certo, però loro sono al governo e hanno preso tanti bei voti alle scorse elezioni, conquistando in sostanza gli scranni una volta detenuti dai seguaci di Conte.

Ma le cose stanno così già dall’epoca grillina, quando fioccavano le emails di espulsione dal partito verso chi non si era attenuto, nelle proprie dichiarazioni pubbliche, o in interviste non autorizzate, alle linee guida del partito. Testimonianza plastica di questa condizione persistente la si può ritrovare anche nei video dei discorsi alla camera durante la crisi del governo Conte bis, quando tutti i cinque stelle nei loro discorsi ripetevano come automi il leitmotiv “non riusciamo a capire il perché di questa crisi”. Quindi, ecco, Conte ha solo ereditato un partito che senza il culto del leader non può funzionare. Ha ragione Francesco Bei su Repubblica. Beppe Grillo, federava filo cinesi, filo iraniani, no Tav e chi più ne ha più ne metta, sotto un’unica bandiera politica, quella dell’anti-politica. Una sorta di Unione Sovietica eretta sull’archiviazione di Dio in luogo dell’ateismo di stato, necessario per unire tutti quei popoli così diversi soprattutto dal punto di vista religioso. Ma adesso che cosa può accadere? La dimissione di Chiara Appendino sarà il sassolino che trascinerà con sé la valanga? Forse la nave sta affondando e c’è chi inizia a saltare sulle scialuppe di salvataggio?

Su La Stampa Alessandra Ghisleri fa un’analisi molto interessante a proposito dei risultati politici dei Cinque Stelle nelle elezioni amministrative dal 2023 a oggi. Su ben 30 banchi di prova il partito di Conte si è presentato insieme al Pd e l’alleanza ha avuto successo ben 18 volte. Ottima percentuale, sì, ma trainata dalla crescita del Pd, dato che in nessuno di questi casi il Partito di Conte ha superato la soglia dell’8%, tranne a Campobasso dove ha raggiunto il 10%. Le dimissioni dell’Appendino dunque sono l’inizio della fine? Come pure si scrive su La Stampa, le indiscrezioni provenienti dalle alte schiere del Movimento commentano che in “televisione si va per rappresentare il Movimento, non sé stessi”. E d’altronde come dare torto a questa posizione. Appendino, è un’acerrima nemica del Pd e quindi del campo largo a partire dai fatti di Piazza San Carlo del lontanissimo 2017, facendo di una questione personale una scelta di campo politico. E Conte di fronte a quanto scritto da Appendino nel suo post di Facebook risponde “ben vengano sollecitazioni e proposte”, ma purché si remi tutti nella stessa direzione essendo la partita delle regionali d’autunno, decisiva. La Campania è per il Movimento l’unica occasione di rilancio. Roberto Fico, però, alle prese con De Luca senior, rischia tutto. L'intransigenza del governatore campano, a proposito, pare pretestuosa, perché ormai lo sanno anche i muri che Pd e Avs, se volessero potrebbero correre senza alleati grazie alla loro capacità organizzativa. Una caratteristica che manca al partito di Conte, sempre meno determinante a livello locale. In Emilia Romagna, infatti i 5 Stelle hanno preso il 3.55% dei voti, ma la vittoria del campo largo è stata per il 57.36% e pure in Toscana è accaduto qualcosa di simile. Forse è vero che la mossa di Appendino può apparire come il capriccio di una miracolata della politica come scrive Dagospia, ma al medesimo tempo è una coltellata calcolata alla schiena di Conte in un momento sì delicato e sì di estrema fragilità e debolezza del Movimento 5 Stelle, che ora si trova di fronte ad un bivio. Essere Conte o non essere affatto? Difficile a dirsi, però è anche difficile capire quale direzione si deciderà a prendere l'uomo solo al comando, che cercando di cavalcare qualsiasi piazza vagamente contro il sistema, ha organizzato una manifestazione in solidarietà a Sigfrido Ranucci a Roma, come se fosse una battaglia contro il governo. Chi può dirlo. Forse Conte sarà la bara fiscale della bancarotta fraudolenta dei 5 Stelle, ma è presto per dirlo. Staremo a vedere.
