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È Francesco Acquaroli o MARCHE Marquez? Non arriva al 46% Matteo Ricci del “campo largo”, asfaltato, di Elly Schlein e Giuseppe Conte

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

29 settembre 2025

È Francesco Acquaroli o MARCHE Marquez? Non arriva al 46% Matteo Ricci del “campo largo”, asfaltato, di Elly Schlein e Giuseppe Conte
Fermi tutti: il cascone di Valentino Rossi non c’entra niente, anche se Matteo Ricci dice che un po’ c’entra. E non c’entrano niente neanche le motociclette, se non per una serie di assonanze, anche geografiche, e per il nostro maledettissimo gusto di divertirci con le parole. E’ solo il modo per raccontare, col filtro amaro del sarcasmo, come sono andate le elezioni nell’Ohio d’Italia. Pardon: nelle Marche del “campo largo” dove non cresce più l’erba…

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

E’ partito davanti, è arrivato davanti e non ce ne è stato per nessuno. Intanto gli altri parlavano tirandoci dentro pure qualche teoria del complotto. Marc Marquez? No, Francesco Acquaroli, neo ri-eletto presidente della Regione Marche, uomo di fiducia da sempre di Giorgia Meloni. E con quella cadenza lì che hanno i maceratesi che questa notte, per quanto facciano finta di niente, sarà al centro degli incubi di Elly Schlein e Giuseppe Conte, i nuovi “quasi amici” della politica italiana. Sì, ok, il titolo era fuori tema e pure ironico, ma è comunque una storia che fa un po’ ridere. E l’aggancio con le motociclette l’abbiamo forzato solo per il gusto di giocare con “Marc e Marche”, con Pesaro visto che l’avversario di Acquaroli, Matteo Ricci, è di Pesaro come l’avversario (sia quello storico che quello attuale) di Marc Marquez. Valentino Rossi, per la verità, c’entra anche un po’ per via dell’inchiesta sul monumentale casco fatto realizzare proprio da Ricci e finito al centro di una inchiesta giudiziaria, ma la verità è che nel titolo volevamo solo giocare per qualche considerazione non solo sull’esito delle elezioni nelle Marche – che fino a poche ore fa venivano definite l’Ohio d’Italia (ma già si sono dimenticati tutti) – con le parole. Anzi, in verità volevamo giocare pure con i numeri. Solo che, andando avanti con lo spoglio, s’è capito che Ricci e il campo largo voluto da Schlein e Conte al 46% non c’è arrivato. Peccato, “quarantasei” sarebbe stato la chiusura perfetta. Ma va bè, fa un po’ ridere lo stesso.

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Oddio, forse fa pure un po’ piangere. Il problema è che bisognerebbe rendersene conto. Solo che “rendersi conto” o “fare i conti con la realtà delle persone”, è esattamente ciò che rischia di non lasciare le Marche un caso isolato. Perché? Perché l’incapacità di elaborare la sconfitta è ormai un tratto identitario ormai non più solo della sinistra, ma anche del tanto decantato “campo largo”. Non perdono mai perché non sbagliano mai: se perdono, è colpa del “popolo bue” o di avversari un po’ mascalzoncelli, mai di una proposta politica sbagliata o di una lettura distorta della realtà. Sono diventati, paradossalmente, i nuovi fascisti che rifiutano di riconoscersi come tali, pur sapendolo nel profondo. E finiscono per fare anche un filino di tenerezza. Hanno fatto della superiorità morale e culturale una bandiera, ma oggi quella bandiera sventola nel vuoto, in mezzo a un campo largo che non arriva neanche al 46% in una regione storicamente rossa. Sì, l’emblema dello scollamento è proprio Matteo Ricci. Dopo la sconfitta nelle Marche, continua a evitare le risposte che non fanno comodo: né conferma né smentisce se farà l’europarlamentare, né chiarisce se intenda guidare l’opposizione. Eppure, per settimane aveva annunciato la vittoria come certa, diceva di “sentire odore di cambiamento”. Poi, quando la sconfitta si è materializzata, ha dichiarato di aver sempre saputo che era una missione impossibile. Non sarebbe stato più onesto dirlo subito agli elettori? Non sarebbe stato più nobile cercare consenso nel gusto della sfida e non nella narrazione artefatta di sondaggi fantasiosi?

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Matteo Ricci tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini

Sì, c’è qualcosa di profondamente anacronistico nella sinistra italiana di oggi. Non è solo una questione politica, ma culturale, quasi antropologica. La sinistra è diventata un corpo estraneo alla società che pretende di rappresentare, sempre più distante dalle persone comuni, dalle loro difficoltà quotidiane, dai bisogni reali di chi vive il presente con fatica. È una sinistra elitaria, autoreferenziale, concentrata su tematiche che parlano più alle proprie emozioni che alle necessità della collettività. Una sinistra che ha smesso di guardare il Paese, per fissarsi nello specchio. “Appena diventerò presidente della Regione Marche – ha detto proprio Ricci qualche giorno fa – la prima cosa che farò sarà riconoscere lo Stato di Palestina”. Che magari, anzi sicuramente, è cosa sacrosanta e giusta, ma se la poni così finisci per stimolare contrarietà.

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Prove di "campo largo" per l'Ohio d'Italia

Perché il problema vero, e le telluriche Marche l’hanno dimostrato con la stessa crudezza con cui i marchigiani si esprimono, è più profondo: si chiama demagogia. E si chiama anche – vorranno mai capirlo - “campo largo”. La segretaria Elly Schlein ha più volte ammesso che l’obiettivo nelle Marche non era costruire un’alternativa credibile, ma “far tremare Giorgia Meloni”. Risultato: Giorgetta stasera non non trema: ride. Mentre il Partito Democratico si accartoccia su alleanze confuse con ciò che resta del Movimento 5 Stelle, in una formula che più che un progetto sembra un accrocchio messo su da un McGiver - nostalgico e ormai invecchiato nelle idee - con quello che trovava in giro. Ma con una mano sola, perché l’altra è ancora impegnata a tenere il pugno chiuso in alto. Ora quell’accrocchio che ha prodotto il cortocircuito nell’Ohio d’Italia – pardon, nelle Marche – ha riacceso tutti: dalla vecchia guardia Dem ai nostalgici renziani, dai democristiani riciclati (e riprodottisi) dopo “Mani pulite” alla parte più invasata e incoerente dei grillini, quelli che gridavano “mai col PD” per poi applaudire al “andiamo col PD, ‘ché ce conviene”. E preparate i pop corn, perché il cinema è appena cominciato. No, la sinistra italiana non è più in ritardo come un pilota con qualche problemino tecnico da sistemare e qualche acciacco da superare: è proprio fuori asfalto. Sul campo largo.

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Il post di Giorgia Meloni dopo l'esito elettorale nelle Marche

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