Alphabet Inc., la holding a cui fa capo Google, si è recentemente vista confermare dal Tribunale dell’Unione Europea (corte di primo grado) la decisione con cui la Commissione Europea aveva comminato alla società una multa monstre – originariamente quantificata in 4,343 miliardi di euro, ridotta ora a 4,125 miliardi – per le restrizioni imposte ai produttori dei device mobili Android (sotto accusa la preinstallazione delle app Google Search e Chrome) e agli operatori di rete per il consolidamento della posizione dominante del motore di ricerca Google. Un’inchiesta che nasce nel 2015, è stata incardinata nel 2018 e non è ancora terminata, essendo prevedibile il ricorso di Alphabet presso la Corte di Giustizia europea, ma resta il dato della conferma dei rilievi antitrust della Commissione e, soprattutto, la multa non fa altro che certificare come il colosso di Mountain View e le leggi dell’Unione non vadano in fondo granché d’accordo, dal momento che l’azienda è stata sanzionata, nell’ultimo decennio, per circa 8,25 miliardi, senza contare le multe ricevute dai vari Paesi.
Ma otto miliardi, per Alphabet, non sono esattamente un problema insormontabile: dopo tutto Google per gli utenti europei del web è un po’ l’equivalente della Russia per quanto concerne la dipendenza dal gas. Per quanto possa sembrare un’esagerazione, il parallelo calza se si pensa a quanto gran parte delle persone abbiano affidato la propria vita digitale alla grande G. Per dire: in Italia, Francia, Germania e pure in quel Regno Unito che non è più nell’Unione, oltre il 90% delle ricerche avviene attraverso Google. Oltre il 90%: Google trova, e intanto conosce, profila, immagazzina dati che nemmeno ruba, ma che tutti sono contenti di dare. Basta un clic ed è fatta. E oltre al motore di ricerca egemone – negli Stati Uniti è oltre il 60%, in Russia non è il fornitore della maggior parte dei risultati e in Cina è ben lontano da Baidu e Quihoo 360 – ci sono Gmail, Google Drive, Maps, Play Store, Meet, pure Google Pay e l’elenco non è finito, figurarsi. Proviamo a guardarci intorno: quanto del nostro mondo digitale abbiamo appaltato a Google, diversificando il minimo possibile?
Ora, per puro spirito di speculazione, essendo ormai Alphabet too big to fail, proviamo a pensare se, improvvisamente, da domani nulla di ciò che abbiamo su Google fosse raggiungibile e recuperabile, per qualsiasi motivo e non per un guasto temporaneo breve. Le alternative ci sarebbero eccome (per proseguire nel paragone folle: il gas non lo esporta solo la Russia), ma intanto una parte significativa del danno sarebbe fatto, a maggior ragione quando, per pigrizia, il backup resta sul cloud di Mountain View. Ci sarebbe da ripartire, ridefinire, rivalutare, ripensarsi insomma, un po’ quello che da qualche mese gli Stati dell’Unione sono costretti a fare sul gas, dopo essersi concessi compiaciuti e compiacenti a Putin per quanto concerne il fabbisogno energetico.
In questo senso Google ricorda molto il colosso di una recente commedia distopica (ma ben poco distopica in realtà) di Pif, E noi come stronzi restammo a guardare, in cui il grande decisore si chiama Fuuber – l’assonanza probabilmente non è casuale – e che, per regalare uno spoiler a chi li detesta, si chiude con queste battute finali, proferite dal grande capo dell’azienda:
Noi sappiamo e sapremo sempre tutto di voi.
Il passato, il presente, il futuro
Sapete chi ci ha dato il permesso di accedere a questi dati?
Voi.
Non siamo ladri.
Prima di entrare nella vostra vita abbiamo bussato,
vi abbiamo chiesto se volevate condividerla con noi.
Avete scelto di metterla nelle nostre mani.
Grazie a voi abbiamo costruito un impero,
siamo diventati miliardari.
E secondo voi abbiamo voglia di fermarci?
Certo non li fermerà una multa dell’Unione Europea.