Il recente quasi trionfo dell’Afd (Alternative für Deutschland) alle elezioni tedesche sta movimentando profondamente l’opinione pubblica europea e mondiale (forse, finalmente). Questo fenomeno, che vede il rafforzarsi di movimenti ultranazionalisti e reazionari, non è un episodio isolato ma un tassello in un quadro più ampio, che include la vittoria di Giorgia Meloni in Italia, l’ascesa e la riaffermazione di Donald Trump negli Stati Uniti, e le tensioni globali che vedono la polarizzazione tra Israele e Palestina, il conflitto in Ucraina e una possibile nuova alleanza Usa-Russia. Tutto ciò suggerisce un ritorno pericoloso verso il paradigma dello Stato-nazione come risposta alla crisi dell’Occidente globalizzato. Per comprendere questo ritorno al nazionalismo, potremmo partire da una riflessione heideggeriana. Heidegger ha diagnosticato nel suo pensiero l’esistenza inautentica dell’essere contemporaneo, intrappolato in un mondo dominato dalla tecnica e dall’oblio del senso autentico dell’esistenza. Questa alienazione potrebbe essere letta come il sottotesto della crisi che ha portato al riaffermarsi dei movimenti reazionari: le masse occidentali, immerse in una modernità liquida che sembra aver perso ogni ancoraggio identitario, cercano rifugio in un’identità più solida, nel mito rassicurante dello Stato-nazione. Giovanni Gentile, il filosofo dell’atto puro e del fascismo come filosofia politica, ci offre un ulteriore strumento di lettura. Per Gentile, la realtà è un prodotto dello Spirito, e lo Stato rappresenta l’espressione più alta della volontà collettiva. La rinascita dello Stato-nazione come risposta alle crisi attuali potrebbe essere interpretata come una reazione gentiliana: la società si ricompatta attorno a un’idea di unità e forza, utilizzando lo Stato come baluardo contro le minacce esterne, siano esse economiche, culturali o geopolitiche. In Italia, Giorgia Meloni ha costruito la sua retorica politica attorno al concetto di “Dio, patria, famiglia”, un ritorno a valori tradizionali che promettono sicurezza in un mondo percepito come caotico. Analogamente, Donald Trump ha fatto della retorica “America First” un simbolo del rifiuto del globalismo. Tuttavia, queste narrative sovraniste ignorano una realtà fondamentale: nel mondo contemporaneo, l’interdipendenza economica, politica e culturale rende il ritorno allo Stato-nazione una strategia tanto illusoria quanto pericolosa. L’economista Dani Rodrik, con il suo concetto di trilemma della globalizzazione, ci ha mostrato che non possiamo avere contemporaneamente sovranità nazionale, democrazia e globalizzazione economica. I movimenti reazionari, scegliendo la sovranità a scapito delle altre due, rischiano di compromettere l’equilibrio fragile su cui si regge l’ordine mondiale.
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In questo contesto, la crescente tensione tra Europa e il resto del mondo – dagli Stati Uniti alla Russia – sembra ulteriormente accelerare la frammentazione. L’ipotesi di un asse Usa-Russia contro l’Europa e l’Ucraina è sintomatica di un sistema internazionale che si sta riorganizzando attorno a blocchi di potere. Questo non solo indebolisce l’Europa, ma mina anche le fondamenta della cooperazione internazionale. La guerra in Ucraina è solo uno dei teatri in cui questa tensione si manifesta, ma le conseguenze sono globali: il conflitto alimenta la polarizzazione politica, intensifica il nazionalismo e riduce gli spazi di dialogo. Un altro esempio significativo è il conflitto israelo-palestinese, dove lo Stato-nazione diventa non solo un simbolo di identità, ma anche uno strumento di oppressione. Israele rappresenta una delle espressioni più evidenti del nazionalismo contemporaneo; eppure, anche baluardo di ciò che resta dell’Occidente, mentre la Palestina, frammentata e marginalizzata, continua a subire le conseguenze di un mondo che non riesce a immaginare alternative alla logica dello Stato sovrano. Criticare questa deriva è semplice, possiamo rifarci a Toni Negri e al suo libro Impero, scritto con Michael Hardt. Negri descrive come la globalizzazione abbia portato alla nascita di un nuovo ordine mondiale post-nazionale, un “Impero” che supera i confini statali tradizionali. Tuttavia, il ritorno dello Stato-nazione rappresenta una resistenza a questa trasformazione, un tentativo di riaffermare un controllo che è già stato eroso dalla rete globale del capitale. Negri sostiene che l’alternativa non può essere un ritorno al passato, ma deve consistere in una reinvenzione radicale della politica, basata sulla cooperazione e sull’interdipendenza. Il ritorno dello Stato-nazione come risposta alle crisi dell’Occidente è comprensibile, ma è una soluzione miope e insostenibile. Heidegger ci avverte del pericolo di un’esistenza inautentica; Gentile ci mostra come l’idolatria dello Stato possa diventare totalitaria; Negri ci invita a immaginare un mondo oltre i confini dello Stato-nazione. Se l’Occidente vuole superare questa fase di regressione, deve affrontare con coraggio le sue contraddizioni, abbandonando la nostalgia di un passato che non può essere ricostruito e abbracciando un futuro che, per quanto incerto, è l’unico terreno su cui costruire una nuova politica globale non più solida ma fluida.
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Giorgio Agamben, che nella sua lunga ricerca sull'apolide e lo stato di eccezione mostra come il concetto stesso di cittadinanza sia sempre stato una forma di esclusione ci aiuta a capire qualcosa di cui sicuramente presto vedremo le conseguenze. Se il cittadino è tale solo in opposizione all'apolide, lo Stato-nazione si basa su una costante esclusione di chi non appartiene, di chi è privo di luogo, esattamente come avviene oggi con i migranti e i rifugiati. L'apolide diventa il simbolo della crisi del sistema statale, l'incarnazione di un’umanità che non può essere racchiusa nei confini tradizionali del diritto. Questo ci porta in un vortice di contraddizioni: come può l'Occidente reagire alla propria crisi se ogni tentativo di protezione si traduce in esclusione, violenza, o regressione? Forse la domanda fondamentale non è più se lo Stato-nazione sia una risposta valida, ma se sia ancora possibile pensare in termini di destra e sinistra, categorie ormai logore in un mondo che sembra avanzare verso una nuova indistinzione politica, dove le polarità si confondono e lasciano spazio a un vuoto inquietante.
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