Qualche giorno fa è uscita tra le pagine del Corriere della sera un’inchiesta sulla cocaina a Milano; un resoconto notturno che ci ha narrato delle “eroiche gesta” di spacciatori meneghini (o presunti tali) in giacca, cravatta e insospettabilità. Ho letto l’articolo qualche ora fa e ancora non mi spiego il perché di tutto questo clamore, non mi è chiarissimo perché mai si spacci (e visto il tema mai aggettivo è più azzeccato) per “nuovo” un dato conclamato: a Milano c’è più cocaina che umidità e ad usarla è letteralmente chiunque. I confini delle zone di vendita sono svaniti nel nulla anni fa, non settimane o mesi fa. Non è stato certamente il Covid a far cadere le muraglie, le barriere territoriali degli spacciatori e non è per colpa di un esaurimento nervoso generale post pandemico che pure le portinaie hanno iniziato a pippare.
Mi lascia sempre perplessa il rumore che a volte si vuole far nascere da quello che è già noto anche ai sassi. Voglio dire “Milano sushi & coca” di Miss Keta è uscita nel 2013 e dubito che le ragazze di porta Venezia andassero ad Affori a comprarla. La banalità urlata ai quattro venti, i vasi di Pandora già aperti che dovrebbero suscitare sgomento in… chi? Non a noi. Non a quelli che in questa città vivono da sempre, non a quelli che vantano illustri zii bocconiani che ti raccontano a Santo Stefano di quando i loro ricchissimi compagni di corso si chiudevano nei bagni dell’università alla fine degli anni ‘70 a fare i ragazzacci. Leggende metropolitane forse, chissà. Ma le leggende saltano sempre fuori da cilindri con qualche verità e in questo caso la verità è una : Milano è bianca bamba. Da sempre. E da sempre a usarla sono letteralmente tutti: giovani, vecchi, ricchi (soprattutto), annoiati, affaccendati, disperati, esauriti (Milano ti esaurisce dagli anni ‘80 non dal 2020). Signore della Milano bene con la collana di perle d'ordinanza alle quali si sono aggiunte col tempo segretarie che hanno scambiato l’emancipazione da esternare con qualcosa da sniffare, come se l’indipendenza passasse dal setto nasale e non da scelte fatte da persone libere che non devono più rendere conto a nessuna zia che ha fretta di vederle sposate.
E da milanese, nipote e pronipote di milanesi, non trovo nulla di più banale della cocaina a Milano: un gesto meccanico, un po’ sporco apparentemente per pochi, all’atto pratico per molti. La neve te la porta chiunque, la consumi dove ti pare, se sei un figo te la tiri su con le banconote da 50 euro arrotolate, altrimenti fai il pezzente e ti accontenti di quella da 5. Stereotipi tristi di quella che era una città meravigliosa. La Beatrice, mia bellissima vicina di casa ottantenne amica di mia nonna da una vita, è stata una donna libera e felice in questa città per anni: una città che accettava i suoi sogni d’attrice, che non le ha impedito di camminare di notte tra Navigli e piazza Castello quando tornava dal teatro, che non l’ha giudicata quando si è messa a fumare e che ha alzato le spalle quando ha divorziato e si è risposata con un uomo più giovane e pazzamente innamorato di lei. La Bea non sa dirmi quando la City è diventata schiava degli stereotipi e dei vestiti scomodi che le ha messo addosso qualcun altro. La Bea la guarda rammaricata come quando si osserva da lontano quell’amica che ad un certo punto, dopo una vita brillante e avventurosa, si perde. Tra quattro strisce