Secondo il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini per lo Stato costerebbe molto di più non costruire il ponte sullo Stretto di Messina che realizzarlo. Paolo Decrestina per “Snack news” del Corriere della Sera ha provato a capire quanto ci sia di fondato in questa affermazione e in generale a che punto si sia con l’iter dell’opera.
“Con il Governo Meloni – le parole di Decrestina – riprende forza un progetto di cui si discute da oltre un secolo. La sua storia è infinita. Pensate che il primo a parlarne fu Giuseppe Zanardelli (allora presidente del Consiglio, ndr) nel lontanissimo 1876. […] Finora la proposta più apprezzata negli anni è stata quella di un ponte a campata unica, una soluzione certificata dalle migliori società di progettazione del pianeta, con un investimento complessivo di oltre 350 milioni. Eppure poi non se n’è fatto più nulla”.
Ci sono anche altre opzioni in campo? “I progetti presi in considerazione – spiega Oliviero Baccelli, professore di economia e politica dei trasporti dell’università Bocconi – sono almeno due. Il principale è quella è campata unica, che è a un livello di progettazione definitiva e completa, ma il gruppo di lavoro che si è riunito per circa diciotto mesi nella scorsa legislatura ha in realtà prodotto una nuova proposta di ponte a tre campate. Nel corso degli ultimi mesi in realtà nel resto del mondo si sono sviluppate sempre di più le tecnologie per anche i tunnel subalvei (sottomarini, ndr), pertanto probabilmente un nuovo gruppo di lavoro proporrà anche una terza ipotesi, quella del tunnel sottomarino”.
“Il rischio – aggiunge Decrestina – diciamo la verità è che sul ponte si finisca per trovarsi pedine al gioco dell’oca: si torna sempre alla casella zero. Si fa qualche passo avanti, si dice che si può proseguire e poi si ricomincia da capo. E i costi sono altissimi, da decenni ormai. Ne cito uno per rendere l’idea: pensate che la decisione di chiudere la società Stretto di Messina spa da un giorno all’altro ha fatto saltare contratti stipulati e gare bandite portando a contenziosi e penali per oltre 700 milioni di euro. Ora in realtà basterebbe un decreto legge per rianimare tutto e ripartire, ma non è così semplice: bisogna anche tenere in considerazione i tempi tecnici di realizzazione dell’opera, che sono stimati in 70 mesi, circa 7 anni. Un’impresa da sette anni di lavoro comporta costi elevatissimi. Nel 2005 quando si era arrivati all’aggiudicazione dell’appalto si parlava di 118 mila persone impiegate dentro a un progetto da circa 3 miliardi di euro. Le stime dicono che oggi salirebbe a 7 miliardi. Andare a trovare risorse per un’opera così importante è sicuramente un tema centrale”.
Non potrebbero arrivare capitali privati? “I finanziatori internazionali – argomenta il professor Baccelli – sono sempre attente a questa tipologia di infrastruttura, ma le incertezze che sono strettamente correlate alla durata dei cantieri troppo lunga e all’incertezza della domanda, sia di medio-lungo distanza che locale, sono considerate eccessive sia per gli intermediari finanziari legati al mondo dell’assicurazioni, sia per gli intermediari finanziari legati al mondo della finanza internazionale che basa le proprie scelte di investimento su green bonds o investimenti di medio-lungo periodo”
Insomma, conclude Decrestina, “una campata, tre campate o stop definitivo, il gioco dell’oca è pronto a ricominciare. Speriamo di arrivare presto alla casella finale, perché, diciamoci la verità, questo gioco è cominciato nel 1876 e ora ha anche un po’ stufato”.