“La Gran Bretagna esclude gli studenti italiani dalla lista delle università scelte per il visto speciale? Mossa propagandistica del governo inglese senza effetti pratici”. Il Prorettore agli Affari Internazionali della Bocconi di Milano, Stefano Caselli, intervistato da Domenico Arruzzolo per il podcast Blacklist di MOW ridimensiona la notizia sull’elenco dei 37 atenei da cui ammettere i giovani cosiddetti High Potential Individual, ovvero i laureati che potranno candidarsi al visto biennale anche senza avere prima un’occupazione. L’Italia, assieme a quasi tutta l’Europa, è rimasta fuori. Spiega il docente: “La normativa risale al 2016, dopo la Brexit, quando è stato stabilito che il visto speciale viene dato a studenti e studentesse che hanno già un’offerta di lavoro prima di arrivare. Chi esce infatti dalle migliori università della terra, incluse quelle italiane, ha normalmente già un lavoro in mano. Già sei anni fa pareva più un segnale politico, quasi di propaganda”.
“Oggi – continua il professore – la Gran Bretagna introduce un ulteriore canale di concessione del visto, per cui gli studenti anche senza un’offerta lavorativa possono entrare e ottenerlo per due anni a patto si siano laureati in una lista che a partire dal 2016 viene pubblicata ogni anno”. Uno strumento “aggiuntivo”, dunque. Ma “quel che conta è la prima regola”. Nella lista sono presenti soltanto cinque università europee, le altre 32 sono statunitensi, come Yale, Harvard, Standford. “Il criterio inglese”, fa osservare Caselli, “prevede, in modo un po’ sbrigativo, di utilizzare il ranking generalista”, che equivale a preferire “quelle più grandi, che coprono tutti i settori disciplinari”. Ciò favorisce le americane e penalizza le università specializzate d’eccellenza “come la Bocconi o la francese Insead, o anche la Sapienza, che è la prima al mondo in archeologia”.
Il dato più importante, in ogni caso, è l’effetto nullo della classifica, già ampiamente sperimentato in questi anni: “Anche se si è uno studente della Bocconi si viene presi prima dell’ingresso in Gran Bretagna, dato che in economia, finanza e management siamo al terzo o quarto posto in Europa. La regola non incide minimamente, per questo ha una finalità di propaganda. È un gesto di sgarbo: gli inglesi sanno bene che nel classificone generale QS (QS World University Rankings, ndr) che esce a marzo di ogni anno, se si è specializzati come noi, non si può arrivare ai primi posti come invece per le generaliste”. “La verità”, conclude Stefano Caselli, è che il governo inglese ha voluto far passare il seguente messaggio: “Se il lavoro non ce l’hai, o se vieni a fare, detto con tutto il rispetto, il barista, il visto non te lo diamo. In realtà, anche a chi va a fare lavori di questo tipo fanno il contratto prima. Ripeto: è una regola che non produce nessun risultato. Tanto è vero che l’unica novità è stata renderla più blanda: mentre prima lo studente doveva essere laureato da un anno, oggi deve esserlo da cinque”.