Non era un disagiato qualunque. Artur A. era un’assenza che faceva rumore. Ventun anni, nessun profilo social, nessun precedente. Solo una Glock e un fucile, comprati legalmente. E una scuola - la sua vecchia scuola - in cui ieri ha fatto ritorno per l’ultima volta. Per regolare i conti. La classe era la stessa di tre anni fa, quando aveva lasciato il ginnasio senza diplomarsi. Ma qualcosa di quella stanza, forse i compagni, forse il ricordo del bullismo - ancora tutto da accertare - non l’aveva mai lasciato davvero. E così, mentre chi aveva voltato pagina costruiva una vita, Artur è rimasto fermo lì. Come un’ombra incastrata in un trauma. Ma a far paura più delle motivazioni, è come ha potuto trasformare quel fantasma in una macchina di morte (sono decedute 11 persone, quasi tutti studenti, oltre a svariati feriti). In Austria, per ottenere un porto d’armi basta poco più di un pomeriggio. Due ore, massimo tre: test attitudinale, quattro domande, un colloquio a sportello e via libera a pistole, fucili, proiettili. Artur A. ha fatto tutto in regola. Era “idoneo”.

Ed è qui che il caso personale diventa una denuncia collettiva. Perché il punto non è solo come sia potuto accadere, ma quanto fosse facile che accadesse. E quanto poco serva per passare da uno stato d’animo oscuro alla possibilità concreta di sparare a chiunque. In Austria si grida allo scandalo. Ma intanto, in Italia, c’è chi gioca col fuoco. Nel 2023 la Lega aveva proposto una legge per semplificare il rilascio del porto d’armi. Meno burocrazia, meno controlli, più libertà per “difendersi”. E se qualcuno sollevava dubbi, la risposta era sempre la stessa: “Non è l’arma a uccidere, è la persona”. Già, ma se quella persona è invisibile, sofferente e arrabbiata, come lo era Artur A., forse un’arma in casa è l’ultima cosa che dovrebbe avere. Il ragazzo ha lasciato una lettera, un saluto ai genitori. Nessuna spiegazione. Solo il silenzio, quello che lo ha accompagnato per tutta la vita. E adesso urla nelle aule delle scuole europee. A chi vorrà ascoltare. Ma forse è già troppo tardi.
