Quando la guerra in Ucraina sarà finita, tenuto conto del carico di enormi sofferenze che ogni conflitto si porta appresso, per il popolo ucraino sarà il momento di fare i conti anche con il proprio sistema di potere. Perché se la condanna a Putin e alla sua invasione militare, antistorica e brutale, non è neanche da mettere in discussione, basta googolare scremando la ricerca a prima del 24 febbraio 2022 per capire che la selezione della classe politica e l’accesso alle istituzioni di quel Paese non era propriamente in linea con quella che solitamente viene definita una “democrazia europea”. A Zelensky, passato da essere il protagonista della serie tv “Servitore del Popolo” a incarnare l’eroico presidente che conduce una strenua resistenza contro “l’Hitler del nuovo millennio” ci arriveremo. Ma prima conviene fare qualche passo indietro, andando a delineare i profili dei suoi predecessori filo-occidentali che, in un percorso che porta all’adesione all’Unione Europea, avrebbero fatto fatica a passare il vaglio della Commissione.
Partiamo dagli inizi degli anni 2000, quando a succedere al primo Presidente dell'Ucraina indipendente, Leonid Kravčuk, è Leonid Kučma (1994 - 2005). Una presidenza, la sua, caratterizzata dalla chiusura di giornali d’opposizione e durante la quale diversi giornalisti morirono in circostanze misteriose. Secondo lo storico Serhy Yekelchyk, l'amministrazione del presidente Kuchma “ha impiegato liberamente frodi elettorali" durante il referendum costituzionale del 2000 e le elezioni presidenziali del 1999. Qualche “vizietto” imparato nell’ex Urss, probabilmente, gli era rimasto. Nel contempo, nel 2002 fu il primo ad avanzare formale richiesta di adesione alla Nato,ma al tempo stesso prese le distanze dall’America sui temi del terrorismo e della guerra all'Iraq. Kučma era un uomo di partito, più precisamente del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, che aveva come principale bacino elettorale le regioni meridionali e orientali dell'Ucraina, che tradizionalmente sono a favore di stretti legami con la Russia. È con il suo successore, però, che il Paese inizia a sperare in una vera svolta europeista.
In molti ricorderanno il volto di Viktor Juščenko, pesantemente segnato dalle cicatrici di eruzioni cutanee, eritemi ed eczemi dovuti a un avvelenamento per il quale sono sempre stati indicati come responsabili i servizi segreti russi. Anche nel caso di Juščenko, però, non si può dire che fosse un “uomo del popolo” visto l’ambiente dal quale proveniva prima di fare politica. Dopo aver intrapreso l’attività di bancario, riuscì infatti a scalare tutte le posizioni attraverso vari istituti fino a diventare nel 1993 Presidente della Banca Nazionale dell'Ucraina (la banca centrale) e nel 1997 il Parlamento lo rinominò capo della banca. Sulla sua elezione, poi, aleggia ancora lo spettro dei brogli (in realtà da entrambe le parti), visto che al secondo turno gli exit poll gli davano un margine di vittoria consistente nei confronti del filo-russo Juščenko (dell’11%), mentre il risultato definitivo sancì la vittoria di quest’ultimo con un vantaggio del 3%. Un responso non accettato dall’ex banchiere e dai suoi sostenitori, che dopo tredici giorni di proteste popolari a Kiev e in altre città portarono all’annullamento da parte della Corte Suprema. E così, alla ripetizione del secondo turno, venne eletto con il 52% dei voti. Ma nonostante sentimenti filo-occidentali, alcune riforme di libero mercato, fu particolarmente criticato per l'indecisione e la segretezza con la quale prese molte decisioni, oltre alle accuse, anche da parte del suo partito, di non essere mai riuscito a formare una squadra di governo senza scontri al suo interno.
In questo clima di delusione generale, si fece largo un’altra figura controversa come quella di Julija Tymošenko (recentemente intervistata a Piazzapulita su La7). Dopo aver partecipato attivamente alle proteste anti-Janukovyč, arrivò a ricoprire la carica di primo ministro nel nuovo governo (2005 e 2007-10). Nonostante la treccia che, soprattutto in Occidente, le valse il soprannome di Giovanna d'Arco della “rivoluzione arancione”, la Tymošenko ha una biografia da vera oligarca. Cresciuta in una famiglia poverissima, dopo la laurea e il matrimonio con Aleksandr Tymoshenko, un ricco uomo d'affari e figlio di un ex boss del partito comunista sovietico, nei rampanti anni ‘90 costituisce una società per la distribuzione della benzina, la "Ukrainskij benzin", che soli quattro anni più tardi grazie al sostegno del ministero dell'Energia, Pavel Lazarenko (attualmente in carcere negli Stati Uniti con l'accusa di frode finanziaria) è diventata una corporazione con il monopolio per la distribuzione del gas russo in tutto il Paese e un un fatturato stimato a più di un miliardo di dollari l'anno. In seguito, l'alleanza Tymoshenko-Yuschenko durò pochissimo e i contrasti con il presidente portarono allo scioglimento del Parlamento e alle elezioni anticipate. Il suo stile di vita, però, mal si conciliava con le aspettative del popolo ucraino, visto che venne caratterizzata dall’esibizione di gioielli, guardie del corpo, limousine e aerei privati, un must per la “regina del gas”. E infatti, candidata alla carica di Presidente nel 2010, venne sconfitta al ballottaggio dal filorusso Janukovyč. Una presidenza, quest’ultima, che a sua volta si interromperà bruscamente nel 2013 quando si verificheranno un’altra serie di proteste della cittadinanza sfociate nell’occupazione di Piazza Indipendenza a Kiev (già teatro della “rivoluzione arancione” del 2004) da parte di giovani pro-Europa. Questo perché Janukovyč, a causa della instabile situazione delle finanze pubbliche, rifiutò di firmare un accordo di associazione dell'Ucraina all'Unione europea, in favore di un prestito russo (acquisto di titoli di stato per circa 15 miliardi di dollari) concesso dal Presidente Putin, ma che avrebbe legato ancora di più il Paese alla Russia. Manifestazioni talmente veementi, e anche sanguinose, che lo costrinsero a fuggire da Kiev facendo facendo perdere le proprie tracce.
Ma ancora una volta, le aspettative degli ucraini non riuscirono a trovare sfogo in un presidente davvero “popolare”. Alle elezioni del 2014 prevalse Petro Porošenko, uno degli uomini più ricchi d’Ucraina con un patrimonio stimato in 1,3 miliardi di dollari. Un mandato che, fino al 2019, ha fatto registrare alterne fortune. Da un lato ha promosso la lingua ucraina, il nazionalismo, il capitalismo inclusivo, la decomunizzazione e il decentramento amministrativo, contribuendo a creare la Chiesa ortodossa dell'Ucraina separata dal Patriarcato di Mosca. Ma dall’altro non è stato in grado di arginare la corruzione, l'insoddisfazione delle regioni di lingua russa, oltre ai malumori di chi lo sosteneva per i continui conflitti con altri politici filo-occidentali. È alla fine della sua parabola, nel 2019, che entra in gioco Volodymyr Zelenskyy. Potrebbe bastare la sintesi che su MOW ne fece qualche tempo fa lo scrittore Ottavio Cappellani, ma per approfondire un po’ è utile ricordare che prima dell’invasione russa l’ex comico e già presidente era al centro delle polemiche per le rivelazioni dell’inchiesta Pandora Papers, la quale rivelò che Zelensky controllava una rete di compagnie offshore con base nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e Belize per gestire le attività nel ramo dello spettacolo e del cinema. Ricchezze nascoste al proprio Paese, fra le quali una villa di lusso a Forte dei Marmi, nel centro balneare preferito dai russi che amano la Versilia: sei camere da letto, quindici stanze e una grande piscina nel giardino acquistata per 3,8 milioni di euro, che non sarebbe l’unico bene detenuto all’estero dal presidente, oggi eroe indiscusso del popolo ucraino. Eletto nel 2019 sulla base di promesse come la pace nel Donbass e la lotta contro la diffusa corruzione, secondo un sondaggio realizzato poco prima dell’invasione russa dal Centro Ucraino per gli Studi Economici e Politici, il 55% degli ucraini riteneva che in questi campi Zelensky non avesse fatto abbastanza e che in caso di guerra non sarebbe stato un comandante in capo affidabile (su questo sicuramente si sbagliavano). Ma senza lo scoppio della guerra e la resistenza opposta all’esercito di Putin, questo sentiment avrebbe reso assai problematica la sua ricandidatura alla presidenza della Repubblica.
Insomma, se ora da un lato abbiamo Putin che ha vestito i panni dell’aggressore – e compiuto una operazione catastrofica in particolare verso i civili ucraini – dall’altro, a guerra finalmente conclusa, non avremo certo un Paese che si era distinto in un percorso politico-amministrativo limpidissimo per arrivare a meritare l’adesione all’Unione Europea. E anche in questi giorni, fra le immagini drammatiche dei morti e dei feriti, abbiamo avuto la riprova che permangono dei lati oscuri particolarmente preoccupanti nelle alte sfere della politica e dell’economia. Un caso su tutti che ha destato clamore anche in questi giorni, per esempio, è quello della scoperta della moglie di un imprenditore e politico ucraino che è stata fermata a un valico di frontiera aperto per i rifugiati mentre tentava di lasciare l’Ucraina in guerra a bordo di un’auto con circa 26 milioni di euro in contanti. Anastasia Kotvitska è stata bloccata nei giorni scorsi alla dogana ungherese dopo che dai controlli sull’auto in cui viaggiava sono emerse banconote per circa 28 milioni di dollari e ulteriori 1,3 milioni di euro nascosti nel bagagliaio. La donna è la moglie di Igor Kotvitsky, 52enne ex parlamentare. Kotvitsky, un tempo considerato il deputato più ricco dell'Ucraina che secondo quanto scrive il Times controlla tramite suoi fedelissimi i sistemi di energia nucleare e i depositi di uranio, ha ammesso che sua moglie stava lasciando il Paese spiegando che è incinta e deve partorire, ma ha negato che stesse trasportando così tanto denaro all’estero. Certo, qualche dubbio rimane. Fatto sta che, dalle macerie di questa tragedia ancora in corso, prima o poi l’Ucraina dovrà fare i conti anche con la propria classe dirigente che non si era distinta per una particolare vocazione alla trasparenza.