La vicenda di Cecilia Sala, giornalista italiana trattenuta in Iran, ha riacceso il dibattito sul ruolo e sull’efficacia della diplomazia italiana in contesti di crisi internazionale. In questo scenario complesso, l’Italia si trova a gestire un delicato equilibrio tra la tutela dei diritti dei propri cittadini e le pressioni geopolitiche legate al Medio Oriente. In un’intervista esclusiva a MOW, Bobo Craxi – politico e profondo conoscitore delle dinamiche diplomatiche italiane – riflette sulle modalità con cui il nostro Paese sta affrontando il caso, analizzando le similitudini e le differenze rispetto alle strategie adottate negli anni ’80 durante il governo guidato da suo padre, Bettino Craxi. Dalla storica "crisi di Sigonella" ai rapporti odierni con Iran, Stati Uniti e Israele, Craxi offre uno spunto per comprendere come le scelte odierne influenzino il peso diplomatico dell’Italia e le prospettive per una risoluzione positiva della crisi.
In che modo valuta la gestione diplomatica italiana per ottenere il rilascio della giornalista Cecilia Sala dall'Iran?
In questi casi c’è una prassi che vuole riservatezza sul tipo di canali utilizzati, ma soprattutto sulle modalità, diciamo di trattativa, se un cittadino italiano è detenuto in un paese straniero, colpito dalla legge di un ordinamento diverso dal nostro. Quello che è certo è che Italia e Iran non sono due estranei, l’Iran non è un gruppo terroristico anonimo o di fuorilegge, è uno stato sovrano con le sue leggi, discutibili, che tuttavia fanno parte di un universo non sconosciuto.
Ritiene che ci siano delle continuità tra le strategie adottate oggi e quelle che venivano seguite negli anni ’80 durante il governo Craxi?
Negli anni ’80 non ci fu nessun incidente diplomatico con l’Iran, parlando del caso specifico ribadisco che Italia e Iran non sono paesi estranei l’uno all’altro. Tra Italia e Iran intercorrono rapporti commerciali e culturali profondi e di lunga data. Di recente una grande multinazionale pubblica italiana, cioè l’internazionale per idrocarburi, ha chiuso un contratto miliardario con quel paese, quindi i canali per poter sviluppare un tipo di pressione e influenza immagino e spero siano aperti. Quello che mi pare evidente è che si tratta, tuttavia, nel caso della malcapitata Cecilia Sala a cui va il mio pensiero, è una giornalista che conosco tra l’altro, si tratta da parte loro della richiesta di uno scambio di detenuti e per questa ragione essendo così specifica e specificata una trattativa di questa natura questa si è un po’ complicata.
La "crisi di Sigonella" rappresenta uno degli ultimi episodi in cui l'Italia ha dimostrato di adempiere alla propria sovranità nazionale rispetto agli Stati Uniti. Crede che il governo italiano attuale sia in grado di mantenere una posizione altrettanto ferma?
Al tempo si trattò di far prevalere il diritto internazionale e la sovranità nazionale, in questo caso non c’è una sovranità lesionata, c’è un cittadino italiano in pericolo detenuto in un paese straniero per ragioni che noi non contempliamo nel nostro ordinamento giuridico, essendo che vengono imputati dei reati che non abbiamo, no? Non vige la legge islamica nel nostro paese. Se il problema è sorto a causa di un arresto fatto su un’ordinazione, lì allora entriamo in una fattispecie diversa. Se l’arresto dell’iraniano, che tutti conoscevano, che lavorava e commercializzava prodotti tecnologici con gli Stati Uniti d’America, che lavorava in Svizzera, sia stato arrestato sul suolo nazionale su ordine o su raccomandazione di un paese straniero, allora qui si tratta della sovranità di cui parla lei, nel senso che quel cittadino iraniano non è dato sapere se violasse le leggi del nostro stato. I capi d’imputazione sono di terrorismo internazionale, però era un cittadino iraniano conosciuto benissimo a tutte le autorità e poteva essere arrestato altrove, a cominciare dalla Svizzera, quindi questo caso è pieno di punti interrogativi e in qualche modo consente di riferirsi alla vicenda di Sigonella, ma molto molto di striscio.
Il caso di Cecilia Sala pensa sia stato strumentalizzato per rafforzare narrative anti- islamiche?
Questo caso è stato utilizzato per acuire un anti-islamismo crescente anche nel nostro paese. Questo caso rileva una certa fragilità nell'autorevolezza del nostro paese sulla scena mediterranea e rivela la difficile congiuntura nella quale noi siamo cascati, ovvero avendo mantenuto, al contrario di una posizione non neutrale, non equidistante, e avendo scelto uno schieramento ripetutamente netto nei conflitti che si sono aperti in Medio Oriente, abbiamo scelto la strada dello scontro. Questo non significa che l’Italia non debba rilevare la precarietà e il deficit dei diritti umani nella Repubblica Islamica dell’Iran. E questa critica che noi muoviamo, questa obiezione, non può giustificare un arresto come quello di Sala. Sì, c’è molta differenza tra la politica estera dell’epoca e quella italiana odierna, c’è un fossato che li divide.
Quanto pesa oggi la pressione di Stati Uniti e Israele nelle scelte italiane verso il Medio Oriente, rispetto ai tempi della "crisi di Sigonella"?
Le scelte autonome, cioè le scelte legate a princìpi e valori di giustizia, non hanno mai messo in discussione l’amicizia verso l’America e verso Israele. Lo stesso episodio di Sigonella si concluse con uno scambio di lettere cordiali e amichevoli tra il presidente degli Stati Uniti e il presidente del Consiglio Italiano. Anche in questo caso, qualora noi per liberare, com’è giusto, Cecilia Sala, scendessimo anche ad un ipocrita compromesso con la Repubblica Iraniana, verso cui non c’è ragione per dimostrarci ostili per principio, non accadrebbe nulla e non metterebbe in discussione l’amicizia verso gli uni o verso gli altri. È questa incapacità, che si è trasformata in un’impossibilità di avere una posizione duttile, che rende la nostra diplomazia più fragile e meno elastica per poter raggiungere degli obiettivi che sono tutto sommato in questo caso degli obiettivi più che nobili, e cioè la tutela e la salvezza di una vita umana.
Quindi l'Italia potrebbe "rompere" con gli Stati Uniti sull'arresto di Abedini senza timore di spiecevoli conseguenze con gli Usa?
Noi non siamo, in questo momento, un paese belligerante con nessuno, tantomeno con l’Iran. Quindi, da un lato non capisco nemmeno perché l’Iran pretende uno scambio di prigionieri, o perché strumentalmente abbia arrestato una nostra concittadina, ma una volta che è stata posta in arresto dobbiamo capire se quello che loro chiedono ha un suo fondamento. Oggi, tuttavia, se parliamo della posizione dell’iraniano arrestato, essa è in mano alla magistratura milanese, che si è assunta l’onere senza un’indagine del nostro corpo giudiziario, perché non risultava esserci un indagato del nostro paese. Si è assunta l’onere unilaterale di porlo in arresto, e di condurlo nel carcere più duro del nostro Meridione, che è il carcere di Rossano, dove sono detenuti terroristi veri, cioè gente che ha ammazzato. Le comunicazioni con la diplomazia iraniana, nei primi giorni, erano ancora precarie e questo ha condotto come rappresaglia allo stato di fermo di Cecilia Sala, che però oggi è troppo prolungato. Questo avvenimento, comunque, non sposterà di una virgola il problema Mediorientale e la fase che stiamo attraversando in questo momento, e neanche il riordino degli equilibri internazionali. Questo cittadino iraniano può essere tranquillamente espulso in direzione del paese da cui proveniva.