Chissà perché questa in Italia non la vuole scrivere nessuno, anche se i social media in arabo sono in fiamme da giorni per quello che è successo. Il 15 luglio 2025, Saeid Mansour Abdulraziq, noto anche come Saeed Abu Mostafa o Mostafa, è stato arrestato presso la stazione di polizia di Al-Matareiah, al Cairo. Il suo “reato”? Avere chiesto che la sua nuova identità di cristiano fosse riconosciuta sui documenti ufficiali. Un gesto semplice, amministrativo, ma trasformato dallo Stato egiziano in una dichiarazione di guerra, con accuse di terrorismo, propaganda sovversiva e diffusione di informazioni false.
Una fede respinta, una voce perseguitata
Abdulraziq aveva abbracciato il cristianesimo nel 2016 mentre viveva in Egitto. La scelta religiosa gli costò l’ostracismo da parte della famiglia, molestie sociali e un controllo poliziesco costante ogniqualvolta esprimeva pubblicamente la propria fede. Nel 2018 si trasferì in Russia, chiedendo asilo e denunciando l’Islam, attività che lo portarono all’arresto nel 2019 e a un anno di carcere. Subito dopo gli fu revocato lo status di rifugiato e nel 2024 fu deportato in Egitto. Al suo ritorno fu interrogato per poche ore e subito rilasciato con l’avvertimento di non parlare pubblicamente o fare proselitismo. Nonostante pressioni da parte di frange islamiste, rimase libero fino alla semplice richiesta burocratica di aggiornamento dell’identità.

Il volto scorticato della libertà
Il paradosso è tutto lì, in una nazione che si professa costituzionalmente garante della libertà religiosa, la conversione dall’Islam è considerata un tradimento da punire. L’Egitto riconosce il diritto a convertirsi verso l’Islam, ma non da esso. Il meccanismo giuridico — farraginoso, interpretativo, intriso di shari’a — è una ragnatela che soffoca ogni tentativo di affermazione identitaria. Secondo l’avvocato Saeid Fayaz, specializzato in libertà religiose, centinaia di convertiti vivono come fantasmi legali, senza documenti aggiornati, in isolamento e sotto il costante timore di denunce o attacchi. La richiesta di Saeid di aggiornare il suo ID non è stata solo respinta: è stata criminalizzata.
Saeid non è un’eccezione. È solo il volto più visibile di un mosaico di conversioni negate, libertà strappate e identità umiliate. Il suo caso si iscrive in una lunga lista di grida soffocate di cui nessuno sembra interessarsi. Come quello di Naglaa (nome fittizio), una ragazza dell’Alto Egitto che ha conosciuto Cristo online. Quando il fratello lo ha scoperto, l’ha rasata, segregata in casa e bruciato la Bibbia. Ora vive nascosta, sotto falso nome, temendo per la propria vita. O Amir Ibrahim, professore di arabo a Dakahlia, si è convertito nel 2021 dopo aver letto il Nuovo Testamento per puro spirito di confronto. Ha dichiarato pubblicamente la sua fede. Risultato? Licenziamento immediato e accusa penale per oltraggio all’Islam. Ma anche Andrew, un giovane della regione di Monufia, che ha dovuto abbandonare casa dopo che la famiglia gli ha sequestrato il telefono, sospettando la lettura della Bibbia. Ha cambiato rifugio sette volte in sei mesi, oggi vive senza documenti. Poi c’è “Mirna”, madre e convertita al cristianesimo dal 2018, ha perso la custodia della figlia. Il tribunale ha ritenuto la sua nuova fede motivo sufficiente per affidare la bambina all’ex marito musulmano. Per non parlare di Karim Abu El-Kheir, diciannovenne, ha scritto “Cristo è la mia salvezza” su Facebook. Per questo, è stato arrestato nel 2020 con l'accusa di insulto all'Islam. Liberato su cauzione, vive ancora oggi sotto minaccia.
Una questione di coscienza (e di Europa)
Christian Solidarity Worldwide ha chiesto il rilascio immediato di Abdulraziq, definendolo un “prigioniero di coscienza”. E qui sorge un interrogativo che riguarda noi: perché l’Occidente tace? Perché nessuna voce europea si leva in difesa di chi sceglie Cristo e paga con la libertà? Saeid, Naglaa, Amir, Mirna... non sono eroi. Sono persone comuni che hanno fatto un passo scomodo: cercare Dio al di fuori delle coordinate assegnate dalla nascita. E per questo, sono diventati dei nemici dello Stato.
Il terrorismo dell’identità
Nel lessico politico moderno, si parla di “terrorismo amministrativo” quando l'apparato statale usa la burocrazia per reprimere. In Egitto, quella repressione ha un volto preciso, è la carta d’identità che nega ciò che l’anima afferma. In nome della “sicurezza pubblica”, si imprigiona la libertà di coscienza. Ma la fede, quella vera, non si processa. Si può incarcerare un corpo. Ma non si può arrestare l’anima.
