Non per caso, ma per persone. Ho conosciuto calabresi straordinari durante i miei viaggi nel mondo della politica, in particolare grazie alla mia partecipazione del tesseramento della Lega con il generale Roberto Vannacci, al quale mi sono iscritta anche io, lo stesso giorno, da fedele amica e sostenitrice. Così, questa estate ho scelto di cambiare rotta. Dopo anni trascorsi nella rassicurante Sardegna (meta che da giovanissima diventò la mia casa d’estate) ho deciso di esplorare una regione che mi ha sempre incuriosita: la Calabria. È lì che ho incontrato una realtà poco raccontata: i calabresi leghisti. Una combinazione che, per molti, suona quasi paradossale. Un amico mi ha detto scherzando che “un calabrese leghista è come un nero iscritto al Ku Klux Klan”. Eppure io li ammiro profondamente: sono pionieri coraggiosi, pronti a sfidare pregiudizi e contraddizioni storiche. Proprio grazie a questi legami umani ho ricevuto un invito speciale: celebrare il mio compleanno in Calabria. Un invito che non dimenticherò facilmente, perché il 3 luglio è anche il compleanno dell’imprenditore Giulio Massimo Cario, un amico che ha riservato per entrambi il Riva Lounge di Falerna, organizzando tutto a sue spese. Un’accoglienza e una generosità che, da vicentina, ammetto di non aver mai sperimentato nemmeno in famiglia.

La serata è stata un successo: atmosfera elegante, tavole imbandite, menù a base di pesce, ottimo vino e, soprattutto, la vodka Fashion Diamond (distillata sette volte, 100% italiana) creata proprio da Giulio, conosciuta nei locali del principato di Monaco, in Costa Azzurra, a Saint-Tropez e persino arrivata, prima delle sanzioni, a Mosca. Un prodotto di lusso che l’Italia, tra guerre e sanzioni, ha perso l’occasione di valorizzare appieno. Ad accogliermi all’aeroporto c’era il signor Antonio, puntuale e impeccabile con il suo van nero. Ha accompagnato me, la mia famiglia e le mie amiche fino al resort “Quattro Scogli”, nella splendida Costa degli Dei, a due passi da Tropea. e responsabile regionale di ASSO DEMANIALI Italia. Nella Lega lui era il referente cittadino del comune di Ricadi è fu proprio lui l artefice dell’ingresso ufficiale della Lega in Calabria: fu lui a organizzare il celebre taglio del nastro con Matteo Salvini. Vice Presidente nazionale al turismoImprenditore di visione, Un luogo incantato e autentico, sospeso tra mare e cielo, che sembrava fatto apposta per raccontare storie. Ed è proprio lì che ho incontrato un altro protagonista di questo viaggio: Roberto Incoronato, un nome che in Calabria non ha bisogno di presentazioni. Ne ho approfittato per scambiarci due chiacchiere per conoscerlo meglio.
Roberto, perché te ne sei andato dal tuo vecchio partito?
Perché le aspettative di riconoscenza non sono state mantenute. Avevo dato tanto, ma il mio lavoro non è stato valorizzato.
Ora sei passato a Fratelli d’Italia. Come ti trovi?
Anche lì, quattro anni fa mi avevano promesso una candidatura per Reggio. Poi mi ha chiamato Donzelli e mi ha chiesto di fare un passo indietro. Solite storie…
Parliamo del ponte sullo Stretto. Tu che speranze hai? Secondo te è la volta buona?
Secondo le aspettative e con questo governo, credo ci siano buone possibilità che venga realizzato una volta per tutte.
Cosa potrebbe far saltare tutto, secondo te?
Il ponte si farà solo se viene gestito da persone che amano il territorio, non da chi pensa solo agli introiti e a cosa potrà guadagnare.

Roberto Incoronato è una figura di riferimento nel territorio, capace di muoversi con autorevolezza tra politica e imprenditoria, incarna quel Sud che non chiede più il permesso, ma che vuole contare. Ed è proprio attraverso incontri come questo che il mio viaggio ha cambiato forma: da semplice vacanza estiva a vera e propria immersione in una Calabria che sorprende, dove la gente sembra avere la voglia e la necessità di cambiare le cose. Quando nomini la Lega in Calabria, o accendi gli animi o accendi una scintilla di speranza. È tutto molto bello, certo, ma una domanda mi è sorta spontanea durante i miei spostamenti in questa terra: com’è possibile immaginare la costruzione di un Ponte sullo Stretto di Messina, quando in molte aree si incontrano edifici abbandonati, strade trascurate e vegetazione che invade le carreggiate, senza alcun segno di manutenzione?

Forse è il mio spirito veneto, o il mio pragmatismo americano, a farmi riflettere: come possiamo noi contribuenti anche solo immaginare un’opera così ambiziosa, se non siamo nemmeno in grado di sistemare ciò che già esiste? Così ho iniziato a chiedere un po’ in giro, parlando con gli abitanti del posto. Ho ascoltato le versioni più diverse: dalla cameriera, agli “amici degli amici”, fino al bagnino e al proprietario del locale. Ognuno ha una sua idea.

Alessandro, un agente immobiliare, per esempio mi racconta che molti di questi edifici sono stati costruiti soltanto per ottenere fondi pubblici (statali, regionali o europei ) e poi lasciati a metà o del tutto abbandonati. Mi spiega che una volta che i soldi arrivano (a volte anche milioni), si fa il minimo indispensabile per giustificare l’inizio lavori: una gettata di cemento, qualche muro tirato su, poi i lavori si bloccano. Perché? I soldi sono già stati spartiti, tra imprese amiche, politici locali, funzionari corrotti. Molte imprese che vincono gli appalti sono collegate direttamente o indirettamente alla ’ndrangheta. Alcune falliscono “casualmente” a metà lavori, altre si beccano interdittive antimafia e vengono fermate. Risultato? Cantiere bloccato, soldi persi, opere mai completate. Alcune costruzioni non hanno i permessi in regola, oppure sono costruite su terreni non edificabili, magari vincolati o demaniali. In teoria dovrebbero essere abbattute, ma nessuno si prende la responsabilità politica. Quindi restano lì, come carcasse di cemento, segni visibili dell’illegalità lasciata impunita. Incredibile, pensavo fossero cose da film. Invece è una realtà vergognosa, senza il minimo rispetto. Uno sputo in faccia a chi vive in quei luoghi meravigliosi! Alessandro continua dicendomi che ci sono anche casi in cui la magistratura ha sequestrato edifici legati a clan mafiosi. Questi beni, una volta confiscati, dovrebbero essere riutilizzati dallo Stato o dalle associazioni, ma mancano i soldi, la volontà o la capacità di farlo. Così restano vuoti, cadono a pezzi, e la gente ci passa davanti ogni giorno. Questi racconti hanno creato in me molto scetticismo su questo Ponte. Abbiamo la certezza che i lavori non verranno interrotti a metà strada? Il ponte viene presentato come il “trampolino di lancio” per unire l’intera Italia, ed è una sfida enorme per la Lega di Salvini, ma a chi porterà davvero ricchezza? Ai cittadini onesti o ai soliti clan che da decenni fanno affari proprio grazie alle grandi opere pubbliche? La verità è che in Calabria e in Sicilia, se lo Stato non fa un patto implicito con mafia, massoneria e chiesa, non si muove nulla. E non lo dico per provocare, ma perché studiando l’argomento è storicamente dimostrato. È chiaro che un’opera come questa, se non gestita con un bisturi di precisione chirurgica, diventa l’ennesima mangiatoia per cosche e politici collusi. E vogliamo parlare della trasparenza? La società “Stretto di Messina S.p.A.” è stata riesumata in tutta fretta nel 2023 dopo anni di silenzio, ma ad oggi non sappiamo chi saranno le ditte appaltatrici, come verranno selezionate, né quali controlli effettivi verranno applicati. E intanto, tra un proclama e l’altro, ci raccontano che il ponte unirà due regioni. Mi domando, visti i trascorsi, se potrebbe unire solo le mafie dell’una e dell’altra sponda, rafforzando un sistema criminale che prospera da decenni anche grazie all’assenza di Stato. Nel 2022, l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho (ora parlamentare) ha dichiarato: “Il ponte è un’opera ad altissimo rischio di infiltrazione mafiosa. Servono garanzie ferree, altrimenti sarà una mangiatoia”. Il ponte sullo Stretto viene celebrato come un capolavoro di ingegneria, destinato a “unire l’Italia”. Perfino l’ambasciatore americano in Italia ha lodato Salvini, affermando che “il ponte che collegherà la terraferma alla Sicilia sarà il più grande mai costruito al mondo, migliore del Golden Gate Bridge”. Ma l’Americano è al corrente di tutte queste situazioni? Ha mai visitato la Calabria? Finché la Calabria resterà terra di passaggio o terra di rinuncia, qualunque ponte sarà solo un’illusione di progresso. Prima di costruire qualcosa di così imponente, servirebbe una vera visione strategica. Servirebbero persone competenti, coraggiose, che abbiano voglia di restituire dignità a una terra bellissima e ferita.
“Serve più cura, serve più rispetto”. Parole semplici, ma forti, quelle di Mino De Pinto, leghista dal 2016, imprenditore e primo eletto come segretario di partito nella provincia di Vibo nel 2022, oggi commissario cittadino di Vibo, si prepara a scendere nuovamente in campo. L'ho intervistato.
Qual è la sua visione in vista delle elezioni regionali del 2026?
La mia ambizione è semplice: mettermi al servizio dei cittadini, stavolta da un’altra posizione, se avranno fiducia in me. In Calabria, purtroppo, è sempre il cittadino a servire la politica. Io voglio invertire questa logica. Non cerco voti in cambio di favori. Credo nel merito, nella trasparenza, nel lavoro concreto.
Si parla tanto del Ponte sullo Stretto. Lei come lo vede?
Il ponte potrebbe rappresentare un’opportunità storica. Non solo per collegare fisicamente la Sicilia e la Calabria, ma per far nascere nuove infrastrutture, zone economiche speciali, autostrade, opportunità occupazionali. Se ben progettato e realizzato, potrebbe diventare un volano di sviluppo per il turismo, l’agricoltura, la pesca. Ma attenzione: non possiamo permetterci che resti l’ennesimo annuncio vuoto. È da quarant’anni che ne sentiamo parlare. È ora di passare dai proclami ai fatti.
Secondo lei, qual è il vero ponte da costruire oggi?
Il vero ponte è quello tra il potenziale e la realtà. Tra ciò che questa terra è e ciò che potrebbe essere. La Calabria ha energie, competenze, persone che vogliono fare. Ma spesso viene soffocata, ignorata, tenuta ai margini. Il messaggio che passa è: “Non devi migliorare, devi sopravvivere. Non devi innovare, devi adattarti”. Chi prova ad alzare la testa viene schiacciato, non premiato.
Una riflessione forte.
La Calabria non è una terra di rassegnati, ma di persone che vengono zittite. Io voglio essere la voce di chi resiste, di chi ci crede ancora. Non sono qui per farmi largo in politica. Sono qui per restituire dignità alla parola servizio.

La Calabria è Italia! Non è un’isola a parte, non è una colonia da compatire. È parte integrante di questo Paese, e come tale va trattata! Non si può più accettare che venga abbandonata per colpa di qualche “famiglia importante” locale, che ancora oggi esercita un controllo silenzioso ma feroce su appalti, investimenti e decisioni amministrative. Famiglie che, invece di contribuire al bene collettivo, pensano solo a mantenere il proprio micro-potere feudale, bloccando qualunque tentativo di cambiamento vero. Non è accettabile che mentre si parla di ponti faraonici, nessuno sistemi prima il marciapiede davanti a casa! Non è più tollerabile che chi vuole innovare venga schiacciato, mentre chi saccheggia venga premiato. Ma io credo ancora nella forza della gente perbene. In quei calabresi che ogni giorno resistono al degrado, all’indifferenza, al silenzio. In chi lavora onestamente, in chi sogna un futuro diverso per i propri figli senza dover scappare via. C’è ancora tanto da fare, tanto da cominciare. Voglio credere che Matteo Salvini sia stato sincero con la Calabria, perché se così non fosse, sarebbe la fine della sua carriera politica. Finora ha avuto coraggio, si è esposto, ha preso posizione in un contesto difficile: bisogna dargliene atto. Ma proprio per questo, oggi ha una responsabilità enorme. Non spezzi la fiducia della brava gente calabrese. Non trasformi ancora una volta le speranze in disillusione. Questa terra è stanca di essere usata, tradita, dimenticata.
