Incredibile ma vero: John Elkann, l’erede del mito Fiat, il rampollo elegante e misurato designato direttamente dal nonno Gianni Agnelli, passerà il prossimo anno non tra manager e miliardari, ma tra disabili e anziani da assistere nei servizi socialmente utili. “Gli tocca lavorare. Gratis”, scrive Tony Damascelli su il Giornale, tratteggiando un’epoca che pare lontana anni luce da quella dei jet privati, dei consigli d’amministrazione globali e delle sale ovattate del potere economico. che sottolinea come questa “messa alla prova” rappresenti una soluzione alternativa alla condanna per evasione fiscale, con un possibile conto da un miliardo di euro. Non che i soldi manchino, precisa Damascelli, ma ci sarebbero state “sicure conseguenze negative per i suoi impegni e obblighi imprenditoriali, il guaio vero sarebbe stato appunto questo, sui denari nessun problema”. E allora, meglio mettersi al servizio dei più fragili, a nome e cognome autentici, lontano da Torino, Parigi, New York e dagli yacht di Capri. Addio Consigli di amministrazione, niente dichiarazioni sui temi caldi come tasse, eredità o affinità familiari: per dodici mesi John dovrà vivere, per la prima volta forse, la vita vera. Una vita da “signor nessuno”, senza auto blu e senza privilegi, in un contrappasso quasi dantesco per chi era destinato a guidare imperi.

La dinastia in disgrazia
Damascelli non risparmia i toni drammatici nel raccontare il declino di quella che fu la famiglia reale industriale italiana, ricordando come “secondo usi e costumi della famiglia (che ormai non esiste più dopo la scomparsa dei suoi storici punti di riferimento Gianni & Umberto)” i giovani eredi venissero mandati a fare esperienza nelle fabbriche del gruppo, camuffati e in silenzio. A Lapo toccò la Piaggio di Pontedera, dove si presentò “in occhiali scuri, non ancora griffati, dichiarando false generalità, tutto sotto copertura”, finendo addirittura per “partecipare ad uno sciopero dei dipendenti proprio contro i parenti del giovane sconosciuto "compagno" al tornio, bandiere rosse non quelle della Ferrari”. Anche John “è passato per la stessa stazione, un nome ed un cognome fittizi, massimo riserbo”, mischiato agli operai, tra “turni di fabbrica, la mensa con il barachin [...] le docce in comune, tanto per rendersi conto di che cosa significhi la vita quotidiana nell'azienda di famiglia”. Ma oggi non c’è più anonimato né romanticismo industriale: tra firme contraffatte della nonna, contenzioso con la genitrice, evasione fiscale e una banca Exor solida, stabile e florida che però osserva in silenzio la deriva, la favola si è capovolta. Damascelli parla di “una discesa infernale analoga a quella del nipote (così per araldica) Andrea Agnelli, anch'egli al centro di guai penali giudiziari e sempre per una questione di soldi”. Il futuro internazionale di John, tra Stellantis, il CdA di Meta, la sponsorizzazione elettorale di Trump, come era stata quella di Biden, si è infranto contro quella che Damascelli definisce “una palla in calcio d’angolo”, ovvero la “messa alla prova” come alternativa alla condanna, e che rappresenta un vero “contrappasso dantesco”: niente jet privato, niente consigli d’amministrazione, “si staccherà dagli uffici di Torino, Parigi, New York”, per dodici mesi dovrà “assistere uomini e donne deboli e fragili”, con “nome e cognome autentici allo sportello d'ingresso, John Philip Jacob Elkann”, in quella che forse sarà la sua prima volta da “signor nessuno”.
