C’era una volta Internet. No, non quello di oggi, infestato da pubblicità mirate che sanno cosa hai mangiato a colazione prima ancora che tu lo sappia, chi ti scopi, e tutto il resto delle stronzate ruba attenzione. Parlo di quell’Internet primordiale, popolato da nerd, sudore, acido, idealisti con la tastiera, paladini del software libero con la tendenza all obesità. Era un’epoca in cui la parola "open source" non era ancora un pretesto per start-up di cinesini in sgabuzzini di campagna socializzati, col governo che non è esattamente questo esempio di liberà, a foraggiare quando è il momento, per poi finire a farsi belli con gli investitori di tutto il mondo e cercare di fregare dati e conoscenze all'Occidente. Negli anni ‘90 e primi 2000, il concetto di "open source" era impregnato di un romanticismo rivoluzionario di sta' cippa. Il codice era libero, le idee circolavano come in un’orgia intellettuale senza copyright, e si scrivevano righe su righe di codice con la speranza di creare un mondo più giusto. ll programmatore informatico Richard Stallman girava come un profeta in sandali, predicando la parola del software libero, mentre Linus Torvalds faceva sognare gli sviluppatori con il suo Linux, il sistema operativo destinato a spezzare le catene del monopolio Microsoft e far scopare di più qualche nerd (ma non è andata proprio così, anche per le scopate).
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In quegli anni, chi contribuiva al codice libero non lo faceva per arricchirsi, ma per l’ebbrezza di vedere il proprio nickname nei credits di qualche oscuro progetto. Non importava se nel mondo reale eri uno stagista sottopagato: nel cyberspazio eri un dio della programmazione, un cavaliere della democrazia digitale, un nuovo stregone telepatico della ribellione. Il romanticismo dell’open source non è morto, ma è stato addomesticato. Ci sono ancora irriducibili che credono nei principi originali, che combattono per la libertà del codice e per la condivisione della conoscenza. Ma sono sempre più circondati da multinazionali che si mettono il mantello da benefattori mentre fanno la cresta sul lavoro altrui, ed ordinano chetamina nel deep web con pagando con criptovalute. Forse l’open source è sempre stato destinato a questa fine: nato come sogno anarchico, fagocitato da un sistema che trasforma ogni idea nobile in un prodotto vendibile. Drogato, si appresta a contribuire al ritorno del feudalesimo cibernetico. Da idea nobile al ritorno dei nobili.
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Mentre in Occidente ci beviamo la favola del codice libero come panacea universale, Pechino gioca a Risiko con l’intelligenza artificiale DeepSeek. Non è il nome di un cyber-drug su un forum di mercenari digitali autarchici e asiatici boriosi dal cazzo piccolo, ma un progetto del Partito Comunista cinese per trasformare l’open source in un cavallo di Troia geopolitico. Intelligenza artificiale? Più che un sogno transumanista, sembra l’inizio di un noir distopico. La rete decide chi sei, cosa fai, chi comanda. E se ti piace la pecora o la missionaria. E l’Europa? Balbetta. Ammicca. Applaude i nuovi stregoni cinesi con lo stesso entusiasmo con cui un cameriere Millenial applaude lo stipendio nel sushi bar di una vattelapesca città figa. DeepSeek, sostenuto appunto dal Partito Comunista cinese, non è stato creato soltanto per rendere non redditizi i progetti di intelligenza artificiale americani - tra cui The Stargate Project, l'infrastruttura di IA recentemente annunciata per OpenAI negli Stati Uniti da Elon Musk - ma per incarnare il Principe Quantico delle Tenebre. Metallo e silicio. Una cura medievale per il nostro deretano. Un’IA superintelligente e senziente, capace di inocularci la dipendenza dall’intelligenza artificiale cinese.
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Lo stesso Elon Musk, all’inizio dell’avventura dell’IA, dichiarava al Simposio del Centenario del 2014 del Dipartimento di Aeronautica e Astronautica del MIT: "Con l'intelligenza artificiale stiamo evocando un demone. Non avrà presto niente di umano… e niente di artificiale". L'intelligenza artificiale, attualmente, è solo uno spermatozoo nell’utero di una baccante cibernetica durante un rito di ipnosi collettiva. Le nostre facce ebeti davanti agli smartphone metaforicamente stanno caricando una batteria esoterica nel cuore dell’iperspazio. Insomma, tutto questo potrebbe essere la corsia preferenziale per il controllo assoluto del mondo, in un modo mai visto prima. Nuovi schiavi. Sotto ipnosi senziente. Per un governo oligarchico e poi imperiale, in dirittura d’arrivo nei prossimi millenni. Carino, no? E l’Europa? Fa spallucce. Ammicca. Sembra persino complice. Siamo la terra della decadenza morale, dove è "figo" essere degradati. La nostra arte? O è degrado o è accoglienza terzomondista. Figli? Non ne vogliamo più fare. Guerra? Non vogliamo combatterne manco per il cazzo. Vogliamo solo essere pacifici utenti, hikikomori del degrado. In questi giorni, numerosi influencer hanno provato a chiedere a DeepSeek di Piazza Tienanmen… e improvvisamente la potente intelligenza artificiale si è inceppata. Consegnarsi al Dragone Cinese come nerdine eccitate non è l'ideale. L’Europa deve smetterla di fare da pubblico e da cavia a tutto questo. Di tifare, a seconda delle inclinazioni politiche, per la Cina o per gli Usa. Quando la smetteremo di misurarci il cazzo? Di citare Nick Land al posto di scopare di più e fare più figli? È sempre tardi. Quando faremo la nostra storia? Senza equilibrio il mondo finirà esotericamente parlando nelle mani di un cyber-Satana. E vi assicuro: non avrà nulla di europeo. Quindi nulla di umanistico. Solo calcoli di cinesini. E non sarà comodo. Né per il nostro stato sociale, né per la cura della persona né per i nostri rilassati boomer bevitori di birra. Al posto di fare leggi sulle proporzioni del cavolo cappuccio, sarebbe ora di mettere mano ai programmatori pure noi. Ma con il nostro stile. Con la nostra civiltà. Dopotutto, i gesuiti euclidei portarono la matematica e la prospettiva del Quattrocento in Cina, i primi algoritmi.
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