Chi si barcamena nel mondo del lavoro, come dimostra la giovane Francesca Sebastiani di Napoli a cui sono stati offerti 280 euro al mese per 10 ore al giorno, si ritrova più o meno giornalmente a fare i conti con proposte al limite del surreale. Ma c’è di peggio, anche (o soprattutto) fra le collaborazioni giornalistiche. La maggior parte di esse non lasciano nemmeno più traccia nell’encefalogramma del cronista o opinionista freelance medio. Un’offerta che sta girando online nell’ultimo mese però merita decisamente di essere analizzata, se non altro perché esplicativa dell’intera tendenza degli operatori nel settore ad andare al ribasso del ribasso, nella consapevolezza che ci sarà sempre qualcuno che per amor di gavetta (o per disperazione) accetterà condizioni totalmente prive di ogni logica umana che si possa dire figlia dello Stato di Diritto.
Intanto, un po’ di contesto. Più che per altri settori, è normale nel giornalismo freelance inviare ciclicamente portfolio e curriculum in una continua e spasmodica ricerca di opzioni per arricchire il proprio parco collaborazioni. Non sono dunque rimasto sorpreso quando, a me come a diversi altri, è giunta via mail la richiesta di partecipare ad alcuni incontri online per la presentazione di due nuovi portali dedicati al mondo delle criptovalute e la blockchain (temi cardine del Web 4.0) in cerca di membri per la redazione: con ogni probabilità ero stato io stesso a inviare il mio curriculum, anche se non lo ricordavo. Il creatore della start up a capo dei progetti in questione è tutto meno che uno sprovveduto: parliamo di un giornalista italiano con più di vent’anni di esperienza come capo cronista in un gruppo editoriale grossissimo, i cui contenuti raggiungono centinaia di migliaia di persone. Per accavallamenti con altri lavori, non ho potuto assistere a nessuno di questi due incontri ma anche a me, come a tutti gli altri, è arrivata successivamente la proposta definitiva per il lavoro in redazione. È tra le più sfacciate siano mai state presentate per un lavoro di giornalismo online.
Una prima proposta prende il nome di “flessibile”. Prima di tutto la testata specifica che si premura di garantire un fisso globale di 2200 euro… all’anno. Utile per l'iscrizione all'albo dei giornalisti pubblicisti, peccato che in moltissimi vi siano già iscritti. L’offerta entra poi nel vivo. I collaboratori sono pagati ben 1 o 2 euro, a seconda della testata, ogni mille visualizzazioni totali ad articolo. Inutile aggiungere ogni considerazione a riguardo. In un costruttivo invito alla competizione interna, la mail illustra anche bonus settimanali e mensili per gli articoli più visti e per i colleghi che ne avranno scritti di più. In base a fantomatiche “categorie” si parla di 25, 50 o 100 euro in palio. Senza nessun senso, si aggiunge un bonus “a discrezione del direttore”, come un roulette russa in cui (sfortunatamente?) non si muore. Il tutto con una produzione minima settimanale di15 articoli originali di circa 2000 battute ciascuno. Insomma, una collaborazione continuativa (altro che flessibile), pagata 1 o 2 euro ogni mille visualizzazioni per i quali si potrebbe una volta ogni tanto guadagnare 25, 50 o, crepi l’avarizia, 100 euro in più. Qualcosa che già fino a qui ricorda molto da vicino Tutta la Vita Davanti di Paolo Virzì, il film del 2008 sul mondo dei call center. O, a cercare paragoni più recenti, Squid Game.
Ma è nella successiva proposta “fissa” che l’offerta in questione arriva al suo apice. La testata offre un fisso di 1400 euro per una posizione di articolista full time, 8 ore al giorno, o di 700 euro per un articolista part time, 5 ore. Il che non sfigurerebbe nel panorama lavorativo attuale, non fosse che in entrambi i casi è richiesta la produzione di un articolo all’ora della lunghezza minima di circa 2500 battute. Per giunta i contenuti devono essere evergreen, ossia non soggetti all’invecchiamento tipico degli articoli legati all’attualità. Anche chi non è avvezzo alla scrittura può comprendere che a certi operai nelle fabbriche di lucido da scarpe nella Londra Vittoriana non era richiesta una dedizione alla causa molto differente. Per concludere in bellezza, la testata specifica che alcuni (“scelti tra chi mostrerà più valore”, recita la mail in una passaggio evidentemente scritto da William Wallace), potranno accedere al rango di coordinatori, con un’aggiunta di 400 euro al mese. A fronte di un lavoro, deduciamo, che si svolgerà direttamente nello scantinato del direttore stesso, con una mezz’oretta di luce solare concessa alla settimana.
Fa ridere. Ma non fa ridere. Per quanto sembri quasi irreale, l’offerta non si discosta molto dalla media del giornalismo contemporaneo. Molte persone, ognuna con il suo bagaglio di motivazioni, accetteranno le condizioni così come formulate da questa azienda. Vero, si potrà obbiettare che intraprendere la carriera giornalistica nei primi due decenni degli anni duemila non è un’idea particolarmente brillante. Non è certo un mistero che nel mondo dell’editoria, giornalistica e non, galleggino tutti come naufraghi in un oceano di bit sul quale, ogni tanto, piove qualche soldo a dissetare quel tanto che basta per proseguire la traversata (verso dove? Non si sa). Sì insomma, il Novecento è finito, il mondo si muove su modelli diversi ed è piuttosto irreale per un giornalista pretendere trattamenti contrattuali e retributivi generalmente equiparabili a quelli degli anni ottanta e novanta. Alcuni mestieri cambiano, altri spariscono, è fisiologico.
Ma sull’onda di questa crisi, gli addetti ai lavori hanno perso la bussola di ciò che è lecito proporre alla forza lavoro di cui hanno bisogno, prosperando in una illegalità del tutto legale. A volte, se è davvero impossibile offrire ai giornalisti condizioni adeguate per la partecipazione ad un nuovo progetto editoriale, la soluzione è forse drammaticamente non aprirlo proprio, piuttosto che inventare nuove forme di sfruttamento per scoprire quanto più in basso si può arrivare. Se il giornalismo muore, ricordiamolo, così fa la democrazia. In un silenzio assordante che sa di menefreghismo e collusione, l’Ordine dei Giornalisti non proferisce parola di fronte a questa catastrofe. Uno scaldalo al sole da aggiungere all’elenco di cose per le quali qualcuno, prima o poi, dovrà rendere conto.