Un viaggio in auto, due influencer con opinioni opposte, 12 minuti in cui la scrittrice Valentina Farinaccio si confronta sul tema del linguaggio inclusivo con Roberto Parodi, che dice la sua sulla schwa e lo sforzo preteso di parlare senza utilizzare parole, frasi, immagini e toni che ricalcano stereotipi di genere. L’idea è di Will, che li imbarca in una Mini elettrica e fa estrarre loro una meta. Si inizia. «Un paradosso di questa inclusività è il fatto di femminilizzare tutti i termini». Ma viene subito stoppato: «Ah, ma siamo nel passato remoto allora». E la Farinaccio aggiunge: «Tu non dici sindaca?». E Parodi: «No! Ma mai più. Sono convinto che a un certo numero di donne non piace essere chiamata capitana, colonnella, sindaca o ministra».
Per Parodi il tema è molto preciso: «Ci sono esseri umani che hanno caratteristiche diverse, magari sono neri e vogliono essere chiamati neri». I termini maschili per Parodi non creano nessun problema. «Quel termine, nell’immaginario, esprime tutta la forza di quel mestiere». Sentirsi chiamato direttore o Presidente è per alcune donne un modo di non sminuire la propria carica e il proprio ruolo. Per Parodi chi sostiene queste proposte inclusive, come la Farinaccio, non fa che seguire un trend in cui si punta a questioni formali. E lancia la bomba che fa sobbalzare la sua compagna di viaggio: «Io sono anche un grande amante della lingua italiana nelle sue forme arcaiche. Vederla violentata con dei neologismi inclusivi, queste schwa …». Lingua violentata, immagine che non è piaciuta molto. «A me fa ridere che molti politici, per forzare questa inclusione chiaramente strumentalizzata, dicano “le lavoratrici e i lavoratori”. Ma perché!? Per tutta la vita abbiamo detto “lavoratori”, dai». «Sono pippe mentali che vi siete inventati». Ma qualche anno useremo tutti la schwa? Per Parodi somiglia più a una minaccia che a una previsione. «La cosa su cui non sono d’accordo è che i benpensanti impongano a tutta la comunità di adeguarsi a queste cose».