È stata approvata la manovra per il salvataggio di Saipem: un piano che prevede un aumento di capitale da 2 miliardi di euro più un miliardo e mezzo di prestito. Saranno Eni e Cassa Depositi e Prestiti ad anticipare circa il 43% dell’aumento, mentre il restante 53% sarà coperto da un accordo con diverse realtà bancarie, tra cui Banco Bpm, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Intesa, Unicredit e altre. Sulla carta, l’obiettivo della compagnia guidata da Francesco Caio – e che, va ricordato, gestisce un portafoglio legato per il 76% al comparto gas – è quello di poter ristabilire una situazione fatta di “mezzi propri coerenti con le dimensioni aziendali, ridurre l'indebitamento, riportare adeguati livelli di cassa e stabilizzare il merito di credito per poter rifinanziare i prestiti obbligazionari esistenti”.
La misura arriva infatti dopo il profit warning lanciato lo scorso 31 gennaio, innescato secondo la maggior parte degli analisti dal parco eolico offshore in Scozia, commessa di oltre 500 milioni di euro che Saipem porta avanti per conto di Electricité de France, ma in stallo per problematiche legate al covid e non solo. È stata principalmente questa a condurre l’azienda alla riformulazione delle guidance del secondo semestre 2021, dopo una perdita registrata a fine 2021 pari a 2,4 miliardi di euro e lo spettro di un fallimento a farsi sempre più concreto.
Saipem, quasi 4 miliardi per ripartire: salvataggio o lunga agonia?
Stando alle parole del numero uno Francesco Caio, la compagnia muove dall’obiettivo di “giocare il proprio ruolo nelle infrastrutture”, senza quindi impostare nessun drastico cambio di strategia. Preme invece un rilancio da protagonista nel processo di transizione energetica, pronto a partire – oltre che dai miliardi di euro della manovra – anche dagli altri 1,5 miliardi che potrebbero derivare dalla vendita delle attività di perforazione onshore. Quest’ultima sarebbe ben più di una prospettiva secondo Bloomberg, che ha dato praticamente per certe le trattative – già in fase di definizione – con la britannica Kca Deutag, per una serie di attività prevalentemente sullo scenario dell’America Latina dal valore complessivo superiore ai 500 milioni di euro.
In prospettiva anche il piano accennato dal direttore generale Alessandro Puliti, per i cosiddetti accordi di “sale and leaseback”, vale a dire di vendita e noleggio di una porzione della flotta navale al fine di generare cassa. L’operazione, così come predisposta e annunciata allo stato attuale, potrebbe generare entrate per un ulteriore miliardo di euro. Una serie di movimenti su più fronti che seguono l’obiettivo al lungo termine di una riduzione graduale (ma rapida) del debito, con target a 0 per il 2025. Ma per farlo si dovrà necessariamente partire dall’anticipo ripartito tra Eni e Cassa depositi e Prestiti, alla quale si accodano le quote immesse dalla pre-sottoscrizione di Intesa, Unicredit, Hsbc, Banco Bpm, Bnp Paribas, Citibank, Deutsche Bank e Illimity.
La revisione punta a una crescita annua del 15% delle aree costruzioni e Drilling; il tutto quando allo stato attuale si parte da ricavi al - 6,4% e margine operativo lordo a -1,19 miliardi; una perdita netta di 2,46 miliardi di euro, con andamento del rosso in deciso peggioramento se confrontato con i -1,13 miliardi del 2020. Peggioramento che la compagnia attribuisce in una nota ufficiale “all’entrata in piena operatività di progetti acquisiti nel 2019, al rallentamento dei progetti a causa degli effetti della pandemia e allo slittamento di alcune attività concordato con i clienti”. Tutti indicatori che non suggeriscono però un cammino facile per il colosso di San Donato Milanese – che impiega circa 32mila dipendenti in tutto il mondo – e che lascia emergere quindi spontaneo il quesito sulle sorti a lungo termine della manovra di salvataggio, specie in uno scenario geo-politico che nel mentre va a farsi sempre più incerto: ritorno in pista o prolungamento di una agonia?
Intanto lunedì il titolo è schizzato al +7%, ai massimi da metà febbraio.