“Salvini e Meloni? È una rivalità cooperativa. Ognuno cerca di conquistarsi il suo spazio politico, Meloni quello più istituzionale, Salvini quello più barricadiero, ed estremo. Un po’ come due fratelli, che in casa, un po’ per conquistarsi uno spazio d’identità, fanno cose diverse. Alla base però c’è la medesima visione ideologica. Quello di un ritorno alla società in qualche modo dominata da valori confessionali, dell’esaltazione dell’identità nazionale, passando per l’anti-globalizzazione e l’avversità verso le grandi organizzazioni internazionali, che siano l’Unione europea o fantasmi come l’Open Society di George Soros. Tutte queste battaglie li accumunano e si assomigliano un po’ tutte. Con il loro successo concorrono per il medesimo obiettivo”. È l’analisi di Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it e autore del libro Nel continente nero. La destra alla conquista dell'Europa edito da Rizzoli. Un vero e proprio viaggio nei movimenti e partiti della destra europea a pochi mesi dalle elezioni di giugno, dove ci si aspetta una grande affermazione della destra. Lo abbiamo raggiungo per porgli qualche domanda sull’argomento.
Per realizzare questinchiesta sei stato in tutta Europa, un vero e proprio diario” di viaggio tra le destre europee. Quali sono i punti in comune di questi movimenti? “’
Partendo dalla testa, cioè dall’obiettivo finale che questi partiti si sono vogliono porre, sono realtà che a livello europeo mirano di fatto a un’idea di Europa delle nazioni in cui il diritto nazionale è prevalente a quello comunitario. Oggi fondamentalmente ci sono direttive e regolamenti che vengono approvati da Commissione e consiglio europeo e ratificate dai vari Paesi attraverso leggi dello stato. Se non rispetti queste leggi, vai incontro a delle procedure d’infrazione: il 70% delle leggi che vengono approvate dal parlamento italiano sono ratifiche di leggi comunitarie. L’idea di queste realtà è quella di sovvertire questo tipo di ordinamento, facendo prevalere il diritto nazionale. Questo, in estrema sintesi, è quello che chiamano sovranismo.
E che a che cosa può portare?
Che a livello nazionale apre le porte a tanti modelli società che oggi l’istituto comunitario preclude. Se oggi uno stato fa una legge liberticida sull’aborto, rischia di incorrere in procedure d’infrazione, così come sulla giustizia o se si sforano in modo conclamato e palese le regole di bilancio. In questo viaggio ho scoperto che queste forze sono molto connesse tra di loro, attraverso società di lobbying, fondazioni, gruppi parareligiosi, e attingono alle medesime fonti di finanziamento. Molto spesso si tratta di realtà legate ad altre potenze, siano esse la Russia o gli Stati Uniti, in particolare. Una grande contraddizione di queste destre, che a parole sono sovraniste ma nella realtà sono legate a chi l’Europa la vuole divisa perché la vuole debole.
Nel libro si parla del rapporti di questi partiti con Putin e la Russia. Le destre guardano ancora a Mosca?
Il febbraio 2022 è stato uno spartiacque per molte di queste forze, così come Euromaidan e l’annessione della Crimea lo erano state per altre. Nel 2015, dopo l’annessione della Crimea, la Russia ha cercato l’alleanza con le forze cosiddette antisistema. L’invasione dell’Ucraina del 2022, segna un’altra chiusura, perché molte forze di destra, che erano rimaste ancorate a Putin, hanno iniziato a mettere in discussione il loro rapporto con il leader russo.
E Salvini?
Altri lo hanno fatto meno, e mantenuto forti ambiguità, come Salvini o Afd. Buona parte di queste ultime fanno parte di Identità e Democrazia (ID), che è una delle due grandi famiglie della destra europea, quella più “putiniana”. Vero è che Fidesz di Viktor Orban farà con ogni probabilità parte invece dell’Ecr, il cui presidente è Giorgia Meloni. Tutto sommato le ambiguità permangono: se noi prendiamo i partiti che hanno posizioni ambigue o apertamente filo-russe, il “partito putiniano" in Europa potrebbe avere più di 100 seggi dopo le elezioni europee. Se dovesse vincere Trump o si dovesse trovare un accordo in Russia, le ambiguità diventerebbero aperto sostegno. Credo siano un po’ opportunistici certi allontanamenti da Putin, più che sincere prese d’atto.
Parliamo di Orban. L’eventuale elezione di Trump potrebbe rafforzarlo?
Orban è bravissimo a giocare su più tavoli. Faceva parte del partito popolare europeo, e nel frattempo esercitava un controllo sui media mai visto in Europa nel contesto di una democrazia europea. In Ungheria si producono auto tedesche ma è diventata anche un hub per le batterie delle auto cinesi; Orban è il miglior amico di Trump in Europa, tant’è che l’evento della destra trumpiana si svolge in Ungheria ma allo stesso tempo difende Putin e fa parte della Via della Seta cinese. Insomma, Orban è il grande maestro dell’ambiguità ed è uno dei politici più abili del mondo.
Cos’è oggi l’Ungheria?
Oggi è un regime senza oppositori, controlla il 40% dei media ungheresi, e ha un sistema giudiziario che è tutto fuorché indipendente da quello politico, tant’è che possiamo definirla un’autocrazia elettorale, una “democratura”. Prima elezioni europee aveva 30 miliardi di euro bloccati: grazia alla sua “tarantella” è riuscito a sbloccare buona parte di questi soldi. Orban e Fidesz sono grandi amici di Fratelli d’Italia ed entrambi i partiti vanno a formarsi nella scuola politica di John O’Sullivan, ex consigliere della Tatcher, e oggi grande consigliere del premier ungherese. Una curiosità: con il probabile ingresso di Fidesz in Ecr, il gruppo di cui è presidente Meloni supererà per numero di parlamentari Identità e democrazia (ID), quello di cui fa parte la Lega.
La Germania è in crisi, e negli ultimi anni Afd è arrivata quasi al 20 per cento dei consensi. Cosa succede nella locomotiva d’Europa?
Oggi Afd è in regressione a causa dello scandalo della riunione clandestina con esponenti neonazisti, in cui si è parlato di deportazione forzata di migranti. Quando parli di piani segreti di pulizia etnica in Germania, scatta il riferimento a un passato con cui i tedeschi i conti li hanno fatti eccome. Rimane una forza politica rilevante per due ordini di ragioni. Innanzitutto per il suo presidio nell’est, che vede in Afd un partito autoctono, e non quello dei ‘colonizzatori’ della Germania dell’Ovest. È il primo partito in quasi tutti i lander orientali, primi tra tutti Turingia e Brandeburgo, dove si voterà tra poco. Il leader del partito nella Turingia è peraltro Björn Höcke, da molti considerato il politico più pericoloso d’Europa, che potrebbe diventare governatore della Turingia a breve.
Quali temi cavalca Afd?
L’altro tema forte è quello del cambiamenti climatico: la Germania è un Paese molto all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici, ma c’è un pezzo di Paese che ha paura di perdere benessere e lavoro con la transizione elettrica della mobilità. Afd è l’unico partito apertamente negazionista, contrario alle auto elettriche. Si prende quindi pezzi di classe operaia e classe media anche nel sud-ovest della Germania. Il nemico ideologico di Afd sono infatti i Verdi, non i socialdemocratici. E questo la dice lunga.
In Polonia le destre hanno messo in discussione il diritto all’aborto. Lei ci è stato prima delle elezioni, cosa può raccontarci al riguardo?
La destra ha perso per colpa di una politica troppo anti-abortista in Polonia, che già prima che Diritto e Giustizia (PiS) andasse al governo, aveva la legislazione più anti-abortista d’Europa. Il PiS ha eliminato 98% possibilità su 100 di abortire: non è illegale abortire ma procurare l’aborto, quindi di fatto gli aborti venivano fatti all’estero. Il rischio che l’aborto venisse dichiarato illegale del tutto ha mobilitato le donne e ha fatto sì che si creasse una grande coalizione anti-destra, portando alla vittoria inattesa di Donald Tusk. Quanto questo abbia cambiato il cuore nero d’Europa, il Paese più a destra allo stato attuale, lo staremo a vedere.
È una lezione per i progressisti e liberali di tutta Europa?
Per battere le destre ci è voluta una coalizione che va dalla destra liberale alla sinistra. Senza una mobilitazione di piazza, e questa è la grande lezione polacca, questa vittoria sarebbe stata impossibile. È un segnale anche di vulnerabilità delle destre europee che oggi sembrano fortissime: persino nel cuore nero dell’Europa, una mobilitazione sociale nata dal basso è riuscita risvegliare le coscienze liberali e liberal-democratiche del Paese, portando le destre alla sconfitta. Come dice una delle donne polacche di cui parlo nel libro: “Noi stiamo combattendo per tutta l’Europa”.