Il ministro del Turismo Daniela Santanché si lamenta dei taxi che mancano a Roma, ma Selvaggia Lucarelli la punge: “Come può dire di non saperne nulla?” Il tentativo di scaricabarile su Gualtieri diventa un autogol comunicativo, e il governo…
Selvaggia Lucarelli “fulmina” Daniela Santanché. Il ministro del Turismo, rappresentante al Senato di Fratelli d’Italia ha pubblicato sul suo profilo X un tweet in cui si lamenta delle ormai notorie code per prendere i taxi alla Stazione Termini: “Bel biglietto da visita per i turisti che arrivano nella Capitale”, si lamenta Santanché. Il tweet è stato ripreso, ironicamente, dalla nota giornalista e opinionista che ha sentenziato: “Il suo governo, il suo ministero e il suo partito non ne sanno niente”. Un affondo netto, un dito in una delle piaghe più fastidiose per l’esecutivo di Giorgia Meloni e, in generale, della politica italiana: il tema delle rendite. La questione dei taxi è un esempio di nodo gordiano che il governo Meloni e in particolare la titolare del dicastero del Turismo non hanno consapevolmente voluto sciogliere, lasciando la situazione in mano a un palleggio istituzionale che si riverbera sulla capacità decisionale delle istituzioni. Per quanto possa sembrare paradossale Santanché, nel suo tweet, voleva accusare l’amministrazione di Roma Capitale, dunque Roberto Gualtieri, dunque il Partito Democratico. Nuova tappa di un feuilleton già visto e già letto dopo un analogo affondo a giugno scorso a Milano per colpire Beppe Sala e lanciare una stoccata alla Regione in una fase in cui Fratelli d’Italia e Lega erano ai ferri corti.
Ai lettori del posto, è ovvio, non sorge spontaneo pensare al processo che implica la divisione di responsabilità tra chi decide le licenze dei taxisti. Emerge, come fatto notare dalla Lucarelli, un dato di fatto: il ministro si lamenta e non agisce ergo, questo il sottotesto, chiacchiera senza risolvere nulla. E, del resto, la titolare del Turismo rischia di aver promosso un doppio autogol: non solo quello comunicativo, ma anche la palese messa in pubblica piazza dell’inefficienza di una misura presa dal suo stesso governo. E per la precisione da Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, e da Matteo Salvini, titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti. La motivazione? La carenza di taxi prosegue nonostante l’intervento governativo ai sensi del Decreto Asset che ha voluto rispondere ai rilievi antitrust dell’Autorità Garante per le Comunicazioni e il Mercato (Agcm), l’Antitrust italico recentemente “giustiziere” di Chiara Ferragni. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato nello scorso mese di agosto un'indagine nel settore dei taxi a Roma, Milano e Napoli, per affrontare le criticità che causano gravi disagi agli utenti. I punti di interesse includono i tempi di attesa, l'uso corretto del tassametro, la disponibilità dei pagamenti elettronici e il funzionamento dei POS. Questo intervento si inserisce in un contesto in cui l'Agcm ha già segnalato al Parlamento la necessità di riformare il settore dei taxi per migliorare il servizio. L'obiettivo? Chiarire il sistema delle licenze "a numero chiuso", che limita la concorrenza e impedisce il miglioramento del servizio. In risposta all'indagine, i ministeri delle Imprese e del Made in Italy e delle Infrastrutture e dei Trasporti hanno illustrato le nuove norme introdotte dal Decreto Asset, diventato legge lo scorso ottobre. La circolare inviata a ottobre ai Comuni, all'Agcm, all'Enac e all'Associazione Nazionale Comuni Italiani spiega che i Comuni potranno rilasciare licenze aggiuntive a titolari di licenze esistenti in via sperimentale. Le licenze temporanee o stagionali potranno durare fino a 12 mesi, prorogabili per altri 12, e potranno essere frazionate nel tempo per rispondere alle esigenze economiche o turistiche. Le città metropolitane e gli aeroporti potranno aumentare le licenze fino al 20% con procedure semplificate. Queste misure secondo il governo potrebbero aumentare l'offerta di taxi nelle città e ridurre i tempi di attesa per gli utenti. I problemi? I costi elevati del procedimento. A Roma, ricorda Repubblica, potrebbe essere 70 mila euro per ogni nuova licenza dei taxi “il costo ipotizzato dal Campidoglio per i vincitori del bando pubblico, che dovrebbe essere pronto a inizio marzo e che consentirà di assegnare entro il Giubileo 1000 licenze per le auto bianche”. Un prezzo in larga parte fuori mercato che favorisce il processo dell’accumulo nella doppia licenza di chi è già dentro il sistema.
I comuni, come quello di Roma, hanno indubbie responsabilità per aver messo a terra bandi eccessivamente costosi e onerosi. Ma il senso comune vuole che sia il governo a legiferare sui problemi d’ordine generale: e Santanché, presa d’infilata dalla Lucarelli, finisce per tirarsi la zappa sui piedi. Il governo della destra che si professa, a parole, alfiera della libertà d’impresa e che in Santanché ha una paladina del mercato e dei suoi meccanismi non affronta di petto la questione del mondo dei taxi come una seria riflessione vorrebbe. Il nodo andrebbe tagliato a monte: quello dei taxi è un mercato in cui la libera concorrenza non è garantita attivamente. E, anzi, il sistema delle licenze finisce per tagliare la strada ai potenziali nuovi entranti nel sistema. Le code sono il dito: la luna è un sostanziale spirito corporativo che per ragioni politiche ed elettorali viene eluso. La polemica della Lucarelli è mirata: come può dire Santanché di non saperne niente? E, soprattutto, come può continuare con lo spirito da passionaria dell’opposizione oltre un anno dopo aver preso con il suo partito un ruolo di governo? Le domande restano, in quest’ottica, senza risposta. Mentre tra una polemica e uno scaricabarile chi di mercato parla, spesso troppo, poco fa fino in fondo per la libertà vera di fare impresa. E tutto il resto che succede non è la logica conseguenza