Non c’è nessuna differenza sostanziale tra Zohran Mamdani e Matteo Salvini. In questo contesto definisco sostanziale la visione politico-economica dei due candidati e il loro metodo di propaganda (sono entrambi due populisti che si fotografano con vecchietti, bambini e gente comune). Mamdani e Salvini hanno idee invece radicalmente differenti su questioni non sostanziali. Definisco non sostanziali, per esempio, le loro posizioni su Israele o sui diritti lgbtqia+, ovvero quelle posizioni che decorano l’attività politica di leader che hanno come obiettivo centrale altre priorità. Un sindaco di New York e un ministro dei trasporti italiano, per esempio, difficilmente avranno come priorità la pace o la guerra in Medio Oriente. Quindi: in cosa sono simili Mamdani e Matteo Salvini? Nella loro convinzione che un approccio socialista all’economia sia ragionevole. Ovviamente sbagliano entrambi.
Mamdani ha vinto le primarie e poi le elezioni nella speranza di poter attuare un programma socialista: congelare gli affitti, rendere gratuiti i bus e aprire dei supermercati comunali con prezzi fuori dal mercato. Ognuna di queste scelte sarà rovinosa e solo apparentemente giusta moralmente. Mettere un tetto agli affitti significa imporre degli standard arbitrari che disincentiveranno i nuovi proprietari a creare affari a New York. La stessa cosa accadrà imponendo dei salari minimi e costruendo case e supermercati comunali o “sindacali”. Questi sono fatti noti agli economisti o ai filosofi libertari, ma i socialisti sono convinti che non esista una realtà, ma solo interpretazioni, con la conseguenza prevedibile che tutto viene considerato lecito, anche ciò che è platealmente assurdo.
Questa settimana la Lega ha deciso di proporre una legge per regolamentare la distribuzione di licenze per parrucchieri e barbieri. L’obiettivo è combattere “la liberalizzazione indiscriminata” e mira al “contingentamento progressivo del numero di abilitazioni professionali […] garantendo l’equilibrio dell’offerta sul territorio”. Oltre a essere convinti che l’equilibrio dell’offerta possa essere stabilito dalla legge e dalla politica, la proposta prevede che una commissione valuti chi potrà ottenere o meno le licenze, tenendo in considerazione anche gli anni di esperienza (quindi un ragazzo che volesse aprire in autonomia un’attività potrebbe essere bloccato?) e che si aumentino le sanzioni per chi esercita senza licenza (le multe previste andrebbero da 5 mila a 50 mila). Quello che serve è “un’adeguata regolazione del mercato”.
Mamdani e la Lega di Salvini sono convinti che il mercato debba essere regolato attraverso una gestione centralizzata: licenze, tetti ai prezzi degli affitti imposti per legge, supermercati pubblici con prezzi calmierati che fanno concorrenza sleale, sono una plateale violazione dei diritti individuali, ma, cosa più importante, sono frutto di una credenza infondata nella capacità di un potere politico di “calcolare” come dovrebbe funzionare l’economia. Vari economisti, tra cui il premio Nobel Friedrich von Hayek, spiegano perché nessun potere centrale possa realmente sperare di fare bene i conti. Il motivo principale risiede nell’incapacità di qualsiasi politico o commissione di assorbire, gestire ed elaborare tutta l’informazione spontanea, periferica e “anarchica” all’interno di una società, al stessa su cui si basano le scelte dei singoli individui e che dunque porta alla libera contrattazione, cioè il libero mercato.
Secondo Hans Hermann Hoppe e Lew Rockwell, due dei principali allievi dell’economista e filosofo Murray N. Rothbard, il socialismo ha tanti volti, alcuni chiaramente ferini, come il nazismo e lo stalinismo, ma altri sono normalmente accettati. È quello che viene definito “socialismo democratico” o “socialismo soft”. Ovviamente questa forma di socialismo non solo non fa il bene dei cittadini, ma porta vantaggi alla classe politica. Le licenze professionali, per esempio, garantiscono ai politici un bacino di voti certi che dipende non dalla bontà delle proprie idee o dalle capacità di persuasione dei leader in campagna elettorale, ma dalla possibilità o meno di accontentare delle caste. Un esempio italiano contro cui si scontrano i Radicali, per esempio, è quello dei tassisti. Un altro quello dei balneari.
Una caratteristica del socialismo soft è la capacità di “farci credere di non esistere”. La politica istituzionale ci ha abituati a giudicare i politici in base al loro posizionamento nelle battaglie per i diritti civili: aborto, adozioni, matrimoni lgbt, eutanasia. Ma quello che non viene detto è di solito la sorpresa più pericolosa. E il socialismo ha il talento di fare il giro e finire nei programmi elettorali tanto della destra quanto della sinistra, mentre gli elettori guardano dall’altra parte. Donald Trump oltre a non aver ridotto le tasse imposte durante l’amministrazione Biden ha avviato una campagna di protezionismo economico (i famosi dazi) che ora viene dibattuta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Giorgia Meloni, alleata di Trump, è a capo del governo che negli ultimi dieci anni ha aumentato di più le tasse. La Lega vuole imporre una regolamentazione delle licenze dei barbieri e nella bozza della Legge di bilancio 2026 si auspica un’extra-tassa sugli affitti brevi. In che modo la destra sarebbe diversa dalla sinistra?
La libertà economica è fondamentale non solo per motivi materiali, ma perché è la prima espressione della libertà individuale, la stessa che potrebbe garantire i diritti civili che la sinistra e la destra liberale dovrebbero difendere. Senza libertà individuale non c’è nessun motivo per difendere a sinistra l’aborto (“il corpo è mio e decido io”) o a destra la libertà di espressione. Quindi sì, tutte le differenze tra Mamdani, Trump, Salvini e Giorgia Meloni rischiano di essere poco sostanziali se, al centro della visione politica dei partiti dell’arco istituzionale, negli Usa così come in Italia, resta la convinzione di poter intervenire nell’economia.