Le ultime settimane sono state così: meno fuochi d’artificio e più manovre ovattate. Sul tavolo ci sono mosse pesanti: l’offerta pubblica di scambio di Mps su Mediobanca, quella di Mediobanca su Banca Generali e l’assalto di Unicredit a Banco Bpm. Ma, più che annunci, si rincorrerebbero ipotesi e voci. Al centro, almeno per ora, c’è l’assemblea di Mediobanca fissata per il prossimo 16 giugno. È lì che si deciderà il destino del piano di Alberto Nagel, con un’Ops da 6,3 miliardi su Banca Generali, da finanziare usando le azioni di Generali detenute da Piazzetta Cuccia. Un’operazione giudicata da molti come una contromossa difensiva per arginare Mps. Ma il problema non sarebbe tanto strategico, quanto legale. “L’offerta potrebbe incontrare da subito un ostacolo probabilmente insormontabile” ha spiegato il vicedirettore de Il Giornale, Osvaldo De Paolini.
Il nodo è nel Tuf, il Testo unico della finanza. Da lì emergerebbe una regola precisa: quando una società quotata compra azioni proprie, deve garantire a tutti gli azionisti parità di trattamento. Mediobanca, quindi, non potrebbe fare un’operazione del genere solo con Generali, perché così escluderebbe tutti gli altri soci. Una discrasia che, secondo De Paolini, avrebbe già messo in allerta Consob. “Dietro l’offerta potrebbero esserci intenti manipolativi per gonfiare i titoli delle società coinvolte” ha spiegato De Paolini.

Intanto, sul fronte Mps, i movimenti sembrerebbero non fermarsi. La banca senese continua a coltivare il sogno di creare un terzo polo bancario. Ma non tutti sembrerebbero d’accordo. Fondazione Cariplo, che aveva risposto all’appello del Tesoro nel 2022 per sostenere l’aumento di capitale, ha mollato la presa. All’epoca aveva investito 10 milioni. È uscita con in tasca 36,6 milioni, come ha riportato il Corriere della Sera. Segno che l’operazione ha avuto un senso economico, ma forse non più politico.
Mentre Mediobanca e Mps si osservano con diffidenza, Unicredit porta avanti la sua offensiva su Banco Bpm. Anche lì, però, gli ostacoli sembrano non mancare. Il più grosso è il Golden Power, quel meccanismo con cui il governo può bloccare o condizionare operazioni ritenute strategiche. Durante il primo incontro tra il team legale e M&A di Unicredit e il Ministero dell’Economia, rappresentato da Stefano Di Stefano, uomo chiave del Mef e anche consigliere di amministrazione proprio in Mps. Dialogo aperto, ma come fatto notare su Il Corriere della Sera, la vera partita “si gioca a Palazzo Chigi”. Il Governo, secondo La Repubblica, avrebbe posto delle condizioni dure, con tre vincoli principali: Unicredit dovrebbe ridurre la propria liquidità per allinearsi ai livelli di Banco Bpm, mantenere per cinque anni un portafoglio di 90 miliardi in titoli di Stato italiani (gestiti da Anima) e chiudere le operazioni in Russia entro gennaio 2026. Una tempistica che sembrerebbe stridere con i piani della banca, che vorrebbe aspettare almeno metà anno per ottenere condizioni migliori. Il confronto, comunque, andrà avanti, e Unicredit avrà tempo fino al 29 giugno per decidere come muoversi.
Nel frattempo, Andrea Orcel avrebbe l’appoggio della sua platea di soci. Nell’assemblea del 27 marzo ha portato a casa il consenso di più del 99% dei partecipanti, favorevoli al piano su Banco Bpm. Tra gli altri ci sono: BlackRock, JP Morgan e Fondazione Crt.
